Martin Scorsese: “mio nonno si chiamava ‘Scozzese’. Gli americani ci hanno cambiato il nome”

Un fiume in piena il regista ospite al Museo del Cinema di Torino dove tiene un incontro e riceve un premio. Dalle sue origini alla passione per l'antichità, passando per il rapporto tra cinema e piattaforme, al tema della violenza, alla politica, e soprattutto il lavoro per la preservazione dei film con il World Cinema Project

Martin Scorsese

Il Museo Nazionale del Cinema di Torino celebra il Maestro, autore di alcuni dei film più iconici e acclamati della storia del cinema, diventato egli stesso simbolo dei grandi classici, capace di raccontare con la sua straordinaria abilità l’immaginario della società americana.

“Sin da quando, più di 70 anni fa, sedevo con i miei nonni e i miei genitori a guardare Paisà di Rossellini in televisione, il cinema italiano ha occupato un posto molto speciale nel mio cuore, una presenza che mi ha guidato, sostenuto, spronato nel mio lavoro di cineasta – racconta Scorsese – È davvero significativo per me ricevere un tale riconoscimento in questo particolare momento della mia vita, in questo bellissimo museo qui a Torino dedicato alla storia di uno dei grandi amori della mia vita: il cinema italiano”.

Scorsese, vincitore di tutti i principali premi cinematografici, ha spesso riconosciuto l’influenza significativa del Neorealismo italiano sul suo lavoro. Nel 2006 ha scritto l’introduzione al libro ‘Cabiria & Cabiria’, pubblicato dal Museo Nazionale del Cinema in occasione del restauro del kolossal di Giovanni Pastrone. La celebrazione oggi, 7 ottobre, alle 19:30 presso l’aula del tempio.

Il regista incontrerà poi il pubblico alle 18:00 di martedì 8 ottobre al Cinema Massimo, in occasione di una Masterclass anticipata da un red carpet pubblico alle 17:30. Sempre al Cinema Massimo, sarà organizzata una retrospettiva in suo onore dall’11 al 13 ottobre 2024, che il Maestro presenterà personalmente la sera dell’8 ottobre alle 20:00, insieme alla proiezione speciale di uno dei suoi film più apprezzati. Scorsese è stato uno dei protagonisti della rivoluzione che ha dato origine alla Nuova Hollywood negli anni Sessanta, e la retrospettiva sarà un tributo a quel periodo.

Proprio con un montaggio di scene tagliate da Cabiria si apre la conferenza, introdotta dal direttore del museo Domenico De Gaetano che con questo evento chiude il suo mandato.

Un regalo speciale per il maestro, che apprezza.

Si parte poi con il lavoro di restauro a cui Scorsese dedica ultimamente molte delle sue energie.

In un recente documentario intitolato Film, the Living Record of Our Memory si parla molto del World Cinema Project fondato da Scorsese per la preservazione della settima arte.

“E’ iniziato tutto cercando di trovare buone copie di film che volevamo vedere – dice Scorsese – in un’epoca in cui non esisteva la rete o i DVD, non c’era altra possibilità di recuperare il materiale se non per i piccoli cinema “di repertorio”, che li riproponevano. Ma con De Palma e Spilberg, e altri amici, ci siamo resi conto che i film che guardavamo sarebbero comunque andati prima o poi persi, parlo di opere dal ’35 al ’60, che ci avevano ispirati a diventare registi. Il sistema era collassato, non c’erano mercati ancillari, prima dell’inizio del canale Z a Los Angeles. Esistevano solo le ‘vault’, magazzini che nascondevano tesori ma spesso non in buone condizioni. Finite le stampe i soldi venivano reinvestiti nello studio ma nessuno si prendeva cura della longevità di stampe e negativi. E parliamo di nitrati, che potevano esplodere o bruciare. A Santa Monica ci fu un grosso incendio, a metà dei ’60. Lì bruciò il negativo di Quarto Potere. Un patrimonio culturale che andava perso, di film che comunque rappresentano la nostra storia. Abbiamo iniziato a guardarci intorno, abbiamo trovato versioni complete, pellegrinando da un cinema all’altro. Con il colore non ne parliamo. La qualità si abbassava, i rossi diventavano rosa. Il pubblico batteva sulle sedie perché vedeva tutto fuori fuoco. Il primo film che cercammo fu la versione americana de Il gattopardo, e tutto quello che trovavo erano versioni rosa e doppiate, solo dei pezzi, non c’era il film intero.  Nel ’79 arrivò il canale Z, poi la pay tv, con i film che venivano mostrati senza interruzioni, e solo allora sono riuscito a vedere certi capolavori e seguire i film titolo per titolo, stampando nuove copie corrette. Il cinema va salvato anche per mostrare i film nelle scuole, agli studenti, attraverso un’accurata selezione, in modo tale che i finanziamenti venissero supportati dagli studios”.

Per i nuovi film rinviati, su Gesù e Sinatra, Scorsese specifica “ci sto lavorando, ma tranquilli, non ho alcuna intenzione di ritirarmi. Ho molte cose da fare e spero di averne la forza e soprattutto i soldi. Lavoro anche nella documentaristica, mi piace il mix di fiction e doc, guardo al passato, me ne vado a vedere di persona gli scavi archeologici, mi piace questo genere di scoperta, soprattutto in Sicilia. Ecco perché sono stato produttore esecutivo di un film sull’archeologia sottomarina, la settimana scorsa ero a Ustica e Taormina. Per questo le tempistiche si sono allungate: ho un progetto a Roma, oggi sono a Torino, poi tra un paio di giorni tornerò in Sicilia a visitare la città di mio nonno, Francesco Scozzese… perché si chiamava così, sapete? Sono gli americani che ci hanno ribattezzati Scorsese! Voglio capire le mie radici, è un viaggio sentimentale, ma poi mi piace pensare che da questa mia esperienza verranno fuori altri film”.

Molti dei film di Scorsese parlano della sanguinaria nascita degli USA, quindi è spontanea la domanda sull’attualità: “Quando ho girato a Cinecittà Gangs of New York abbiamo scavato proprio su questo esperimento di governo, l’idea dell’immigrato, che nel 1840 va da un’altra parte, c’erano molti gruppi etnici, e la possibilità di gestire con successo questo tipo di esperimento. Oggi abbiamo di nuovo i gruppi che c’erano all’epoca del film. E’ già successo in passato e non sappiamo cosa possa accadere tra qualche settimana. Questo esperimento, che chiamiamo “democrazia”, potrebbe essere rinnovato o finire in questa fase. C’è un’incredibile smania di informazione e disinformazione. Io pensavo a Fellini e alle frasi del Satyricon, quando diceva che camminando per le strade di Roma sollevava sampietrini e gli pareva di tornare nell’antica Roma, una fantascienza al contrario, così feci con Gangs… purtroppo una previsione tragicamente azzeccata”.

Poi aggiunge “il cinema è ancora giovane. Si tratta di capire perché vogliamo raccontare certe storie, per poterci identificare a vicenda, anche nel rispetto delle opinioni diverse. Ma il cinema dei cento scorsi anni ora è cambiato, potrebbe andare in qualsiasi direzione, finire su un tablet, o direttamente iniettato con un chip nella tua mente, vivendo la realtà virtuale. Ormai sono discorsi comuni: L’Orlando Furioso o Amleto nella realtà virtuale. Non sei più a guardare un palco, ma te li trovi davanti. Quello che conta è cosa si vuole dire, con quale passione, e se si è in grado di comunicare ai fini di migliorare gli aspetti della civiltà, invece di strappare e demolire tutto. Informazione, che è diverso dalla conoscenza. Questa è la chiave. Ho scoperto TikTok da poco, perché mia figlia mi ha segnalato che ci ero finito. Chissà, magari in futuro lo userò. Si potrebbe perfino fare un film in un bicchiere”.

Circa la violenza nei suoi film: “Credo sia parte di quello che siamo, e penso che sia qualcosa di molto essenziale, era l’essenza di quando crescevo io, faceva parte della mia storia, del vivere in strada. Si cercava di vivere vite decenti, ma c’era confusione, violenza. Ho visto gente decente fare cose molto brutte. Questo mi ha portato a pensare “come siamo”. Specie i più giovani sono attratti dalla violenza, va espressa questa transazione. Non si può esultare davanti a lei, ma nemmeno negarla, non è il male assoluto. Non si può negare che faccia parte del nostro essere. E’ chiedendoci chi siamo che possiamo venirne a capo”.

“Mi interessano Bisanzio e il mondo antico – insiste – ma questo genere di progetti non te li finanziano mai. Poi è arrivato Ridley Scott con Il gladiatore, che cosa incredibile… lo ammiro tantissimo, io invece lavoro nell’angolo. Una svolta è stata The Irishman, grazie alle piattaforme, ci tenevo e sapevo che dovevo adottare nuove tecniche, che richiedevano un sacco di soldi. E Netflix era disponibile a darceli. Ci hanno detto che si poteva fare. E’ fantastico essere in sala, ma alla fine quello che anima il successo di un progetto è la passione di raccontare una storia. Comunque, siamo stati in sala due settimane e mezza. Qual è il formato giusto per un film? Sei ore? Due? Novecento e C’era una volta in America durano tantissimo. In certi casi ti costringono a tagliare. Oggi c’è gente disposta a passare intere giornate sul divano a seguire una storia. Chissà se avrebbero voglia di andare al cinema, che costa pure parecchio. E’ un momento in cui si può sperimentare, è il caso di cercare di capire cosa possa piacere al pubblico. Credo che apprezzino entrambe le esperienze, la sala e la possibilità di guardare il film a casa, andando in cucina e tornando indietro”.

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07 Ottobre 2024

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