TORINO – Il Giuramento di Ippocrate sembra la quintessenza del mestiere del medico palliativista, per cui con empatia, abnegazione, lievità, accompagna nello spirito e nel fisico verso la fine della vita.
Mario Balsamo ha scelto di rendere protagonista il dottor Claudio Ritossa, paliativista appunto, nell’Hospice Anemos di Torino, per cui “la capacità di un materiale di assorbire un urto senza rompersi”, ovvero la resilienza, quella che in psicologia è “la capacità di un individuo di affrontare e superare un evento traumatico o un periodo di difficoltà”, assume un valore prezioso.
Balsamo, riferendosi al suo precedente doc Noi non siamo come James Bond, in cui racconta il percorso personale di uscita dal tumore, ricorda infatti di venire “da film in cui racconto la mia malattia e quella del mio amico Guido Gabrielli, per cui abbiamo sempre usato una chiave di sdrammatizzazione, perché ci stuccava la retorica del pianto, ci atterriva, e siamo riusciti a non dare questa impronta, per cui vengo proprio da un atteggiamento di resilienza e dal vedere come la malattia possa essere un’opportunità, di sicuro è un faro con una luce più luminosa, e questi pazienti terminali lo hanno dimostrato ancor di più perché sono agli sgoccioli; danno una sorta di pacificazione e restituiscono le sfumature dei colori della vita, un grande insegnamento”.
Lo sguardo del medico torinese sono gli occhi di Balsamo per In ultimo, selezionato nel Concorso Documentari del 42mo TFF: la morte – dunque la vita – sono i poli della storia, che si fa particolare anche per la passione di Ritossa per le piante, soggetto assoluto in cui è centrale il concetto del ciclo vitale e con cui il regista gioca di parallelismo.
“Sono partito dal cercare persone che abbiano un dialogo con la morte, perché è poi un dialogo con la vita, per lasciare un testamento spirituale. Ho raccontato le storie dei degenti, storie fortissime da cui emerge anche che la presenza di queste strutture in Italia sia scarsa, solo un malato su tre ha la possibilità di accedere alle cure” e qui s’innesta anche una riflessione politica: “il suicidio assistito è costoso e quindi crea una discriminazione fortissima, costa circa 20/25mila euro; penso sia una forma antidemocratica, che se impossibile da poter praticare fa registrare situazioni che in hospice sono evitate, cioè persone che si suicidano in modi brutali, per disperazione, spesso non riuscendo a morire e creando così problemi ulteriori a se stessi”, continua Mario Balsamo, che comunque si dice “favorevole al decidere il proprio fine vita; sono per l’ autodeterminazione, difronte a condizioni disumane e non più di dignità umana: certo, con tutte le certificazioni necessarie. Sono a favore di una legge sull’eutanasia”, altrettanto, con riferimento al suo doc, il regista registra anche che “nel suicidio assistito non c’è un dialogo con la morte, mentre nell’hospice sì”.
La dignità e la consapevolezza, dei pazienti, così come di chi gli sta accanto e li assiste, sono i pilastri di una realtà quantomai concreta, che pulsa di crudeltà – per la certezza del termine – e in cui, altrettanto, batte un cuore pieno di valore umano. Balsamo ha scelto l’hospice “Anemos, che evoca il soffio, un respiro della morte, che poi prosegue, trasformato. Io ho un rapporto singolare con il vento e lì ogni stanza ha il nome di un vento. C’è una laicità che non esclude assistenza religiosa di ogni tipo, una laicità rispettosa nei confronti di tutti” e rispetto al dottor Ritossa spiega stesse “cercando una persona che avesse anche un respiro esterno, che mostrasse che stessimo raccontando la morte attraverso la vita. Lui è appunto un appassionato di fiori e mi si è così subito accesa la lampadina: il ciclo delle piante può rendere più contingentato il concetto. Non ho avuto nessun limite da parte loro, gli unici limiti che mi ero posto io stesso erano rispetto all’autorizzazione dei degenti: tutti quelli a cui abbiamo chiesto hanno subito aderito, compresi i parenti, perché si sono resi conto dell’importanza di pubblicizzare questo tipo di strutture”.
Entrando poi nel dialogo tra contenuto e estetica cinematografica, Balsamo spiega che “essendo cinema, ho privilegiato le persone che comunicano emozioni, sia nel silenzio che nel parlato. Noi abbiamo potuto girare 20 giorni in tre tornate, quindi emotivamente è stato pesante, perché alla tornata successiva non era certo ritrovassi le stesse persone. La scelta stilistica è stata semplice: sobria, rispettosa e invisibile nelle stanze; più movimentata all’esterno e insistente sulla natura, per cui con il dottore abbiamo usato la camera a mano per dare più dinamismo. La scelta della color correction è stata estrema, ma ne sono soddisfatto: c’è stato un lavoro per differenziare le parti interne – sovraesposte al massimo, per creare un tempo sospeso, una sorta di limbo illuminato -, mentre fuori c’è una luce più realistica, del mondo esterno”.
In ultimo è una coproduzione Italia-Portogallo, realizzata con il sostegno di Film Commission Torino Piemonte – Piemonte Doc Film Fund, il fondo di sostegno allo sviluppo e produzione di documentari per il cinema.
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