MARINA CICOGNA


La sua grandezza è indiscutibile, ma preferisco ricordarlo come amico e complice di avventure cinematografiche. Ho prodotto quattro suoi film. Il primo, Un italiano in America (1967) fu una vera follia: partirono per gli Usa, Sordi e De Sica, e Vittorio portò Alberto a Las Vegas dove si giocarono tutto. Andò meglio con Il medico della mutua e Nell’anno del Signore, che ripagarono, anche finanziariamente, quella prima volta. Quindi insieme girammo anche Prof. dott. Guido Tersilli.
Alberto era irresistibile: riuscì anche a convincermi a recitare nell’unica comparsata della mia vita, un’apparizione in un film del ’76, Il comune senso del pudore.
Di tutte le cose che si sono dette di Alberto, mi sembra che non si sia sottolineata abbastanza la sua particolarità di aristocratico popolano, membro di una classe a parte che si trovava spesso a Roma un tempo. Anche per questo non si sposò mai – “E che me metto un’estranea in casa!”, diceva – e alimentò la religione del suo gruppo familiare insieme a una religiosità tradizionale.
Sarebbe stato l’attore più grande del mondo, se solo avesse imparato l’inglese, ma restò profondamente italiano, come Totò. Del resto la comicità e la critica di costume sono legate al paese d’origine, inevitabilmente. E lui rimase italiano.

autore
26 Febbraio 2003

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