MARIANO EQUIZZI


Adolescenti spietati, ectoplasmi, apparati di intelligence, organizzazioni terroristiche e dittatori del passato.
Figure inquietanti e attualissime popolano The Mark e R.A.C.H.E., doppio esordio nel lungometraggio di Mariano Equizzi.
Palermitano, 33 anni, è noto al fandom italiano, la comunità di appassionati di sf, per Syrena, Jubilaeum, Agent Z, D.N.E. Descrambling Nova Express, labirinti di immagini confezionati con spirito da “artigiano cyberpunk”.
The Mark, che debutta questi giorni al Mifed, è un horror prodotto da Massimo Vigliar per Jinko Communications, Surf Film e le spagnole Filmax e Duque. Nelle 4 settimane sul set torinese la lingua ufficiale era l’inglese. Segno inequivocabile di mire al mercato internazionale.
R.A.C.H.E., una produzione low budget di Luca Liggio, Cappella Underground e Iter Research, è tratto da scritti di Valerio Evangelisti, scrittore di fantascienza ibrida e spuria.
Un assaggio di 10 minuti sarà presentato il 28 novembre a SciencePlusFiction 03, Festival internazionale della fantascienza di Trieste, città scelta per le riprese e per l’anteprima prevista il 30 aprile, nella notte della Valpurga. A gennaio un “work in progress” farà tappa anche al Future Film Festival di Bologna.

Partiamo da “The Mark”. Lo sceneggiatore Andrea Materia fa riferimenti espliciti all’horror giapponese. Quali sono i legami con il tuo film?
Come Ju-On e Ringu (originale del rifacimento The Ring, ndr), The Mark si basa su una leggenda metropolitana, quella del ragazzo innamorato di un ectoplasma, su cui si innesta una maledizione vissuta dal protagonista come un percorso di crescita.

Qual è il tuo rapporto con la tradizione del cinema di genere italiano, quello di Bava, Fulci e Margheriti?
Sono distante da quella tradizione. Bava e Fulci, in particolare erano estremamente morbosi nella messa in scena del binomio sesso/violenza, un approccio che non mi appartiene. Piuttosto, sono legato alla metafisica del cinema giapponese e alla cultura dell’apocalisse degli anni Settanta, all’immaginario di James Ballard e William Burroughs, di Romero e Cronenberg. Quando giro scene violente penso al cinema underground anni Settanta e all’arte contemporanea. Così in The Mark c’è un uso fanatico della luce stroboscopica, della macchina da presa a 8 fotogrammi al secondo, del flashforward e del flashback sincronizzati con gli effetti sonori curati da Paolo Bigazzi. L’obiettivo è aggredire il pubblico dal punto di vista percettivo. Ad esempio, l’ectoplasma della ragazza è sdoppiato: l’immagine di una graziosa ragazza bionda è stravolta per farne emergere la parte oscura e malata, simile a Marilyn Manson nei video di Floria Sigismondi.

Quanto contano gli effetti sonori nella costruzione del film?
Moltissimo, più della colonna sonora. Derivano dai suoni industriali di gruppi come Throbbling Gristle, Einstuerzende Neubauten e SPK, perfetti per la messa in scena delle culture dell’apocalisse. I musicisti industrial sono dei maestri nella creazione di sonorità per immagini terrificanti. Non a caso molti di loro sono stati assorbiti nell’effettistica sonora per il cinema. Ad esempio, Graeme Revelle, ex SPK, ha curato le musiche di Daredevil.

Gli adolescenti di “The Mark” hanno qualcosa a che fare con quelli protagonisti della cronaca nera italiana?
I nostri personaggi non si discostano poi tanto dalla realtà sociale. Sono giovani in grado di fare qualunque cosa. Il film è uno spaccato inquietante in cui non c’è traccia di sistemi regolatori e forze morali. Non c’è posto per genitori e polizia.

Passiamo a “R.A.C.H.E.”. Che tipo di interventi hai fatto sui materiali di Evangelisti?
Quasi nessuno. Il film, circa 60 minuti, è fedelmente tratto dai primi 7 capitoli di Le catene di Eymerich e dal racconto O Gorica tu sei maledetta. R.AC.H.E., ‘vendetta’ in tedesco, è una Spectre biotecnologica con una memoria storica. Tutti i membri sono infatti residui delle peggiori dittature, da Hitler a Ceausescu. La narrativa di Valerio condensa mito, storia e geopolitica per parlare del nostro mondo e di chi lo sta distruggendo. L’attenzione per psicostoria, religione, terrorismi, per i condizionamenti della storia occulta e dell’intelligence sono il cuore della fantascienza italiana. Il mio film si inserisce in questo filone con l’obiettivo di trovare un’identità culturale per la nostra sf.

Raccontaci il set e la postproduzione.
Abbiamo girato in 3 settimane a Trieste, la capitale italiane della sf, con il sostegno di Friuli-Venezia Giulia Film Commission. Nel cast c’erano circa 20 attori tra cui Lorenzo Acquaviva, anche curatore del casting. Alcune location erano agghiaccianti. Come la Kleine Berlin, base delle SS scoperta alla fine della guerra. Qui, nelle latrine dei sotterranei abbiamo ricostruito lo studio di Hitler. Poi, la ferriera di Servola, uno stabilimento industriale ad alto rischio: durante le riprese la bora sollevava polveri di carbone vetrificato e sentivamo l’odore dell’acido solforico. Alla fine ci siamo ritrovati con 10 ore di materiale digitale mini dv, 45 minuti in Super 8 e oltre 100 foto panoramiche in 35mm da usare per la postproduzione. Un terzo del film è fatto di effetti speciali. C’è anche una parte di animazione in 3D: un ‘poliploide’ disegnato da mia sorella Ursula Equizzi e modellato dalla Edi di Francesco Grisi, la stessa di Fight Club e The Cell.

autore
11 Novembre 2003

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