MARCO MÜLLER

Fabrica Cinema coproduttrice, insieme a RaiCinema, di No Man’s land oggi esulta. Si festeggia non solo il premio Oscar al miglior film straniero consegnato a Danis Tanovic, ma un percorso produttivo intenso, iniziato cinque anni fa. “Dietro questo ennesimo e sorprendente successo di No Man’s Land c’è la rivendicazione di uno specifico industriale italiano – afferma Marco Müller – La coproduzione non è solo finanziaria ma coinvolge le migliori collaborazioni artistiche e le maestranze qualificate (fra tutti la montatrice Francesca Calvelli, ndr.) che hanno dato a No Man’s Land quel di più, cioè la qualità italiana”. Marco Müller, con la voce rotta dall’emozione, così racconta questa vittoria al telefono.

La statuetta a Danis Tanovic quanto appartiene all’Italia?
In larga misura. Fabrica Cinema ha curato tutta l’edizione, dall’uscita dei primi giornalieri fino alla stampa della prima copia. Siamo stati i primi partner artistici, subito dopo che la francese Noè productions aveva comprato la sceneggiatura. Siamo entrati in coproduzione già in fase di rielaborazione della sceneggiatura. E’ paradossale che ancora non si parli del contenuto politico di questa vittoria. No Man’s Land è il risultato di un’operazione produttiva lanciata da Fabrica Cinema grazie a Rai Cinema. L’obiettivo era proprio di mettere a disposizione dei vari “altrove” cinematografici quel di più particolare che è la qualità artistica italiana. Non dimentichiamo che l’Italia ha regalato al cinema iraniano i suoi primi montaggi in Avid e missaggi in dolby. Questo sostegno, frutto di una strategia produttiva a medio termine, ha portato il cinema italiano, attraverso l’Oscar, ad essere di nuovo protagonista e riconosciuto.

Un’operazione produttiva che si avvicina a quella francese…
Ora in questo tipo di scambi non c’è solo la Francia, ma anche l’Italia. Determinante è stato il rapporto con la Rai, cioè con una rete televisiva che ha investito su autori e opere fuori della norma rispetto alle esperienze passate. Del resto, anche grazie al contributo di Cinecittà, il risveglio del cinema bosniaco e balcanico è stato così evidente.

Come è arrivata Rai Cinema ad affiancarvi in questa avventura produttiva?
E’ quello che io chiamo il viaggio dell’armata “Brancaleoni”. All’inizio Giuseppe Cereda si mostrò interessato. Poi la nuova direzione (Montaldo, Leone e Macchitella, ndr.) ha espresso una posizione favorevole. Ma determinante è stata l’ostinazione di Carlo Brancaleoni. Era il 1997, non era facile proporre l’opera prima di un cineasta bosniaco sconosciuto. Danis prima di dirigere No Man’s Land era stato un cineoperatore di guerra e un documentarista. Niente di più.

Questo Oscar cosa premia innazitutto?
La necessità del cinema americano e non solo di fare i conti con tutte le realtà cinematografiche lasciate fuori dalla porta. Il successo di Tanovic afferma proprio questa urgenza: far parlare il mondo coinvolgendo gli sguardi di tutte quelle situazioni politiche e culturali tenute finora ai margini. Un caso singolarissimo e una grande vittoria.