MILANO – Letizia Toni, classe 1993, per il grande pubblico è Gianna Nannini, interprete nel biopic Sei nell’anima, ma la sua carriera è cominciata sin dall’adolescenza. Il Noir in Festival 2024 l’ha scelta come membro della Giuria, insieme a Chiara Caselli, James Jones e Fulvio Risuleo.
Letizia, Francesco Nuti e Massimo Troisi, due attori e registi maschi e di una generazione certamente distante dalla tua, hai dichiarato siano un po’ gli spiriti guida del tuo essere attrice. Cosa c’è nella loro personalità artistica a cui guardi con ammirazione, a cui aspireresti, e quando e cosa ti ha così marcata delle loro identità?
Il loro modo di fare commedia, ironia, porta con sé molta comicità ma anche molto dolore, insieme, e questa commistione mi ha sempre molto intrigata e catturata; da piccola, ovviamente, non riuscivo a decifrarla, ne ero attratta ma non capivo esattamente, poi crescendo, facendo cinema e studiandolo, rivedendo i loro film, questa cosa mi ha davvero affascinata, soprattutto la profondità della loro vena drammatica, bellissima.
Nuti e Troisi sono stati maestri di Commedia, un genere specifico, come lo è il Noir: qual è il tuo personale rapporto con quest’ultimo, quanto ti interessa da attrice, come lo approcci da spettatrice?
Lo apprezzo molto, e in realtà mi piacciono proprio i generi così definiti, soffro un po’ per l’horror, lo guardo ma non ne sono fortissimamente appassionata, però ciascun genere ha qualcosa che mi incuriosisce tantissimo. Il Noir m’intriga molto, mi tiene incollata allo schermo, lo guardo regolarmente: Prediligo il Drammatico, anche come attrice è quello che mi piace più interpretare, restando ovviamente aperta anche alla Commedia, anche per la mia naturale vena toscana.
E in questa occasione, in cui sei parte della Giuria del Noir in Festival 2024, qual è lo sguardo che riporrai su film e interpreti ‘di genere’?
Sono molto incuriosita e questa opportunità è interessante perché per me è anche un’occasione di studio e per conoscere più in profondità un genere che guardo ma su cui fino adesso non mi sono focalizzata così a fondo; da quando ho scoperto questo Festival mi sono interessata di più, per approfondire: è una letteratura tutta a sé e tra l’altro, per caso e ancora senza sapere della Giuria, ho letto quest’estate dei libri di Scerbanenco perché dovevo fare un provino, per cui mi dovevo ispirare, e l’ho trovato interessantissimo, quindi la proposta della Giuria è stata una casualità pazzesca, un destino forse, e a questo punto sono felicissima di esserne parte.
Tu hai cominciato a recitare da adolescente, frequentando la scuola Immagina di Firenze: è un mestiere che hai scelto o che ti è capitato, e quindi che hai poi… deciso di scegliere in età più adulta? Perché ‘fare l’attrice’?
L’ho scelto, cercato, rincorso, sofferto, protetto in tutti i modi, non mi ci sono ritrovata e ho faticato tantissimo per arrivare a fare le piccole cose dapprima, il cinema indipendente, fino all’opportunità del grossissimo progetto di Sei nell’anima. La scelta era consapevole sin da piccola, seppur totalmente ignara a cosa andassi incontro: in casa non è che i miei guardassero molto cinema, quindi stavo soprattutto davanti alla tv, e lì rimanevo imbambolata davanti ai film, imparavo a memoria ‘i film dei grandi’, io li chiamavo così, mi piacevano, e poi – da sola, allo specchio – rifacevo i personaggi, sembravo un po’ una pazza che parlasse da sola; questo desiderio, verso i 14 anni, cresceva sempre di più, tanto che ho cominciato a chiedere a mia mamma di fare una scuola di recitazione, ma lei non mi ha assecondata, però, dopo le superiori, con la mia indipendenza ho cercato una scuola.
Questo discorso porta al concetto di talento: non tutte le persone che recitano lo possiedono, possono essere ben dirette e funzionare ma il talento è una virtù innata, da coltivare, ma che nessuno ti insegna. Tu – la cui esperienza di attrice nasce da piccola – hai compreso cosa significhi ‘avere la stoffa’, cosa sia ‘il talento’ appunto?
Il talento credo sia una sfumatura quasi inconsapevole, un modo di fare una cosa che va un po’ oltre, che non risponde a nessuna legge, a nessun metodo; è quel qualcosa in più che uno porta in maniera naturale, che s’aggiunge al lavoro tecnico imparato a scuola, che dà delle sfumature differenti. È una calligrafia molto soggettiva. È molto bello quando, da spettatrice, vedo davvero questa calligrafia, che sia dell’attore o del regista: il talento mi affascina totalmente e sono molto ispirata dalle persone in cui è molto marcato, e apprezzo quando lo lasciano fluire, perché io ero molto timida, venivo da un contesto molto provinciale, quindi avevo paura a tirar fuori quello che sentivo, per il timore di sembrare ridicola o matta, finché a un certo punto ho detto: ‘vabbé… quel che viene viene, se sarà interessante vedremo’. Non so se in me ci sia talento ma sicuramente c’è una gran voglia di tirar fuori la mia calligrafia.
Il tuo mestiere ha molto a che fare con l’identità, quella dei personaggi che incontra quella personale, nel caso di Sei nell’anima anche un’identità prepotentemente estetica. Come metti in gioco il rapporto identitario tra Letizia e i personaggi e quanto, nel caso di Nannini, l’estetica ha concorso a livello emotivo per te e per il ruolo?
È stato un lavoro molto lungo, di molti mesi, ed essendo la prima volta non usavo un metodo particolare, man mano che studiavo cercavo di far penetrare la sua personalità nella mia, finché, a un certo punto, ho deciso – abbastanza all’inizio – che tutto ciò che fosse ‘Letizia’ dovesse essere messo in una scatola, dentro un armadio, sul terrazza, decisamente fuori, quindi sono partita dall’abbigliamento: all’inizio ho tolto tutto il mio gusto per far entrare in casa il gusto di Gianna, e da lì ho cominciato a lavorare anche a livello psicologico, andando a scoprire la personalità della persona, di lei più piccolina, non come cantante già formata ma come bambina. Ho messo da parte la mia personalità, tanto che quando anche dopo il film riaffiorava quella di Gianna ero anche un po’ intimorita, perché avevo reazioni caratteriali istintive, mentre Letizia non fa così… e questo, tutto sommato, mi è anche servito per conoscere delle caratteristiche umane che possono servire nella vita, per farsi strada. È stato molto duro il dopo, uscire da Gianna, perché essendo la prima volta non avevo dimestichezza con le tecniche per ‘ritornare in me’, ma ci sono riuscita: dovevo disinnamorarmi di dettagli che nel tempo avevo fatto miei, anche soltanto la parlata, e un po’ il modo di esprimervi e di muovermi.
È forse quello che però ti ha permesso una mimesi eccellente.
È un lavoro che ho preso con ossessione, ma per personaggi così credo che sia l’unica strada. Era il primo treno bello che passava per me, per cui non potevo lavorarci così… ma solo con l’ossessione. Stare molto insieme in lei, perché l’ho frequentata molto nei mesi di produzione, è stato fondamentale per assorbirla: mi capita, inoltre, quando sto accanto a una persona con caratteristiche molto evidenti, di ripeterle, per cui la vicinanza a lei mi ha permesso di accentuarle molto, però senza renderla caricaturale, quantomeno ci ho provato.
Tu, alcuni anni fa, hai rischiato la vita in un incidente stradale, che ti ha portata a sottoporti a moltissimi interventi chirurgici, qualcosa che ha a che fare con il corpo, con l’estetica, che sono ‘oggetti’ con cui un attore lavora: qual è, dunque, il tuo rapporto con la bellezza? La metti a profitto o la proteggi rispetto al cinema?
Quando s’inizia a fare l’attrice uno utilizza un po’ tutti gli strumenti a disposizione, se c’è una caratteristica che vedi funzionare un po’ di più è chiaro che la marchi, però l’estetica è un po’ fuorviante a volte, ti può buttare un po’ fuori strada: non perché io abbia puntato su quella, anzi mi invitavano a fare la modella, che ho anche provato un pochino non lo nego, a vent’anni si prova, si guadagna qualcosina, ma soffrivo, stavo malissimo, mi sentivo totalmente a disagio, terribilmente, per cui ho lavorato sempre su altro. C’è la consapevolezza di avere caratteristiche che mi possano avvantaggiare, ma non ho puntato su quelle, anzi mi rendo conto – per fortuna – che nel cinema, adesso, l’estetica funzioni, perché va ammesso senza essere ipocriti, però… conti davvero quello che si trasmette; la bellezza del cinema è quello che comunica l’attore, e l’attore diventa anche bello se trasferisce, anche se la persona è bruttissima, ma sullo schermo se riesce a far passare sensazioni forti diventa un divo, qualcosa di meraviglioso. La bellezza e basta sullo schermo dura pochissimi secondi: solo i fiori possono vivere della loro bellezza: l’attore, ma l’arte in generale, deve avere un spessore in più.
L’arte del ‘genere’ ha avuto grandi stagioni nel nostro cinema e adesso sta riprendendo un po’ piede: pensando al genere e in ottica di futuro, il cinema italiano presente che opportunità dà ad un giovane interprete, e quali difetti invece avverti, che potrebbero essere migliorati per il futuro della tua generazione?
Da dopo l’uscita di Sei nell’anima sono più a contatto con l’ambiente e con i provini: certo, sono capitata in un periodo noir… del cinema, però vedo ci sia una tendenza dei nuovi autori che si approcciano al cinema, si va in questa direzione in effetti, c’è davvero molta inclinazione verso questa direzione. Spero che il genere cresca sempre di più, è interessante e mi piace, e spero ci siano anche più occasioni da attrice in questo senso, perché per ora sono un po’ pochine; sto aspettando partano dei progetti, che sono in difficoltà a partire per la questione del tax credit, una bruttissima circostanza per tutti gli addetti ai lavori, questo fa capire – credo – che ci sia bisogno sì di tanto cinema, ma ancor prima di tanta cultura, perché, se questa si ferma, è un cortocircuito: forse, se uno ferma questo comparto, è perché davvero non fruisce della cultura di questa arte. È fondamentale alimentare il settore, io sono incredula di questa situazione: io mi sono salvata con il cinema e così come me tante persone che non fanno cinema, perché è uno strumento per pensare, e se si blocca questo flusso è brutto come messaggio umano.
La Giuria del Concorso Internazionale del Noir 2024, composta dal presidente James Jones, con Chiara Caselli, Letizia Toni e Fulvio Risuleo, tra gli 8 film in selezione ha scelto l’opera di Lin Jianjie
6 titoli italiani in selezione per il riconoscimento ideato da Gianni Canova con Giorgio Gosetti: la giuria di esperti cinematografici, insieme alla giuria popolare di studenti e cinefili, ha scelto l’opera prima, distribuita nelle sale da Luce Cinecittà
Il film di Gianluca Manzetti, con Luka Zunic e Matilde Gioli, nel Concorso Internazionale del Noir 2024. Per il regista, in riferimento al tema social del racconto, la “realtà virtuale ha già assunto una sorta di forma religiosa”. L’uscita, con Eagle Pictures, è annuncia per agosto/settembre 2025
Il G7 al Noir in Festival: dopo l’anteprima Fuori Concorso a Cannes, il film diretto a sei mani da Guy Maddin, Evan Johnson, Galen Johnson si presenta come una commedia nera satirica e apocalittica, in cui le sorti del mondo si confondono con un’inquietante notte nel bosco, verso una simbolica fine dell’umanità o un'alba dell’avvenire?