Il trionfo di Flow agli Oscar – ma anche ai César – ha segnato un momento significativo per l’animazione europea, confermando il talento di Gints Zilbalodis e la sua capacità di costruire universi visivi e narrativi unici. Il film, prima statuetta lettone, con la sua poetica visione di un mondo sommerso e la lotta per la sopravvivenza di un gruppo di animali guidati da un gatto riluttante, non è solo una meraviglia tecnica ma anche un racconto emotivamente coinvolgente.
Si tratta però dell’apice di un percorso.
Negli ultimi anni, il panorama dei film d’animazione non americani candidati o vincitori dell’Oscar ha mostrato una crescente apertura dell’Academy verso visioni alternative rispetto alle produzioni statunitensi dominate da Disney e Pixar.
Tra questi spicca Mirai di Mamoru Hosoda, che nel 2019, candidato come miglior film d’animazione, ha rappresentato un’eccezione significativa per il Giappone, tradizionalmente legato ai capolavori dello Studio Ghibli.
Più di recente, Marcel the Shell with Shoes On, pur essendo una produzione ibrida tra live-action e animazione, ha dimostrato come ci sia spazio per narrazioni indipendenti e innovative.
L’animazione giapponese ha continuato a giocare un ruolo di primo piano, con film come Il ragazzo e l’airone di Hayao Miyazaki, che ha riconfermato il maestro dello Studio Ghibli come una forza inarrestabile nel settore. Si tratta del più clamoroso caso di film d’animazione non americano che ha vinto la statuetta, con il precedente, nel 2003, de La città incantata, sempre di Miyazaki.
La storia della principessa splendente (The Tale of the Princess Kaguya) di Isao Takahata è stato candidato all’Oscar nel 2015, ma non ha vinto. Il premio quell’anno è andato a Big Hero 6 della Disney.
Tuttavia, anche l’animazione europea ha saputo farsi strada: l’irlandese Wolfwalkers, con il suo stile ispirato alle illustrazioni medievali, ha ottenuto una candidatura nel 2021, testimoniando la capacità dello studio irlandese di competere con i giganti americani.
Se si guarda più indietro nel tempo, non si può ignorare La mia vita da Zucchina di Claude Barras, una toccante opera in stop-motion che ha conquistato critica e pubblico nel 2017, o ancora Persepolis di Marjane Satrapi, un racconto potente e autobiografico che ha portato una voce iraniana nel mondo dell’animazione occidentale.
Entrambi sono stati candidati, pur non portando a casa la statuetta.
Ma il vero spartiacque è stato Valzer con Bashir, il capolavoro di Ari Folman che nel 2009 ha dimostrato come l’animazione potesse diventare un mezzo per esplorare il trauma della guerra, sfidando le convenzioni del genere.
L’apertura dell’Academy verso queste opere non è solo un riconoscimento della qualità artistica, ma anche della capacità dell’animazione di raccontare storie profonde, politiche e universali. Flow si inserisce in questa tendenza, portando con sé un racconto che è al contempo intimo e epico, dimostrando ancora una volta che l’animazione non è solo un genere per bambini, ma un linguaggio cinematografico a tutti gli effetti, capace di esplorare la condizione umana in modi inaspettati e suggestivi.
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