“La vie en rose”, viva il cinema francese


Marion Cotillard BERLINO. Un film importante per la Francia inaugura la 57/a Berlinale, edizione molto divistica e sulla carta travolgente. I nostri cugini d’oltralpe sono presenti quest’anno alla kermesse tedesca con quattro titoli in concorso e tantissimi altri nelle varie sezioni (contando anche le coproduzioni siamo a quota 34): persino la chiusura è affidata a un francese, Angel di Francois Ozon e il fatto è debitamente sottolineato da un comunicato di Unifrance. Naturalmente i film, per giudicarli, bisogna vederli, ma intanto si fa un gran parlare di questo La vie en rose che stasera porterà al Palast personaggi politici e del jet set tedesco, tra cui il ministro della Cultura e il sindaco di Berlino ad applaudire “La mome”, la ragazzina, ovvero Edith Piaf. La cantante mitica e maledetta, che Olivier Dahan ha raccontato nei 140 minuti di una pellicola che in Italia s’intitola appunto come una delle sue celebri canzoni. Eppure la vita del “passerotto” parigino, uno scricciolo alta un metro e 47, fu tutt’altro che rosea.

 

Nata in strada, secondo le leggende, nella rue di Belleville, il 19 dicembre del 1915, Edith Giovanna Gassion, venne abbandonata dalla mamma e approdò in un bordello, adottata dalla tenutaria, divenne cieca e fu salvata – si dice – dalle preghiere delle puttane a Santa Teresa di Lisieux. Se ne andò anche da lì e si mise a cantare in strada, per essere scoperta da Louis Leplee (Gérard Depardieu) che la portò a esibirsi nel suo cabaret, regalandole quel nome d’arte che in argot parigino vuol dire “passerotto”. 

Tra mille tragedie – una figlia morta, il grande amore, un pugile, perduto in un incidente aereo, alcol e morfina per consolarsi – la sua esistenza tesse una trama epica che vale questa operazione da 18 milioni di euro e due anni di lavoro. Il quarantenne Dahan – neanche nato quando lei moriva – ne fa una sorta di Madonna ante litteram, una manipolatrice capace di scrivere due autobiografie in contraddizione l’una con l’altra. Per il produttore Alain Goldman, questo è “un musical, una storia popolare, tragica e romanzesca, stile Casinò, un film francese ed internazionale”. Molto di questo orgoglio è affidato alla giovane promessa Marion Cotillard che abbiamo appena vista accanto a Russell Crowe lungo i vigneti di Un amore per caso. Ora ha vinto la sfida di restituire l’universo Piaf: gli sguardi smarriti, la solitudine, la sofferenza, l’arrendevolezza, e insieme l’arroganza, la rabbia. Cotillard ha trentadue anni e interpreta il suo personaggio da quando ne aveva diciassette fino all’ultima notte, quando ne aveva 47 ma ne dimostrava 60. “L’ultima scena – racconta l’attrice – è stata particolarmente difficile, perché se fai ‘troppo’, quella scena può diventare ridicola. Bisogna essere minuziosi, stare attenti a ogni singolo gesto. Ma è stato duro anche attraversare vent’anni di un personaggio”. Ancora le parole di Marion Cotillard: “Edith Piaf era una donna con un lato egoista, tirannico, ma anche molto generosa. Una donna che aveva perduto tutto e che aveva saputo conquistarsi tutto. E una donna che, come molte persone di straordinario talento, aveva qualcosa di molto sensibile in sé che l’ha portata alla rovina. Una grande capacità di dare gioia, ma anche una immensa forza autodistruttiva. Ha vissuto lo stesso percorso di autodistruzione che ha vissuto, più tardi, Janis Joplin“.

Come lei tanti eccessi e tante splendide, strazianti canzoni d’amore e di rabbia (“Hymne a l’amour”, “Je hais les dimanches”, “Milord”, “Non, je ne regrette rien”), poi altri eccessi fino alla broncopolmonite di cui morì il 10 ottobre 1963 sepolta nel cimitero parigino di Pere-Lachaise con 40 mila uomini e donne a piangerla e coprirla di fiori. Je ne regrette rien.

 

(in collaborazione con Giovanni Bogani)

autore
08 Febbraio 2007

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