La masseria delle allodole


La messeria delle allodoleBERLINO – “Come Clint Eastwood faremo un secondo film dal punto di vista dei turchi”. Scherzano i Fratelli Taviani, per alleggerire il clima cresciuto in questi giorni attorno al loro film, La masseria delle allodole, contestato perché ricostruisce l’eccidio del popolo armeno ad opera dei Giovani Turchi nel 1915. Una pagina sanguinosa e pressoché dimenticata della storia recente che i due fratelli toscani hanno attinto al romanzo autobiografico di Antonia Arslan aggiungendo idee di cinema, immagini sontuose, il respiro epico, l’impegno, i tradimenti e le passioni che li hanno sempre contraddistinti nelle varie fasi della loro lunga carriera. Tornano al grande schermo dopo una lunga parentesi televisiva che non rinnegano, anzi rivendicano. “Vorrei citare il carteggio tra Goethe e Schiller – dice Vittorio – dove i due scrittori discutevano delle differenze tra il registro epico e quello drammatico ma finivano per suggerire: facciamoli scivolare l’uno nell’altro”.

Più che televisivo è letterario, di quella letteratura che si legge tutta d’un fiato, questo film in sala dal 23 marzo: “Dopo aver ‘tradito’ Tolstoi, Pirandello e Gavino Ledda, ci siamo rivolti a un romanzo che colmava un nostro senso di colpa per aver ignorato quello che le Nazioni Unite hanno descritto come un genocidio”. Nell’Anatolia del 1915 il partito dei Giovani Turchi mise in atto la strage di tutti i maschi, adulti e bambini, confiscò i beni e le proprietà, deportò le donne costringendole a una lunga marcia verso il deserto e alla morte per inedia e sfinimento. Morirono quasi due milioni di persone e gli orrori di quel massacro ci sono tutti: la testa mozzata di un uomo che vola in grembo all’adorata moglie, un neonato soffocato tra la madre e un’altra donna perché non siano i soldati turchi a scannarlo, fuggiaschi crocifissi per rappresaglia, bimbette violentate e giovani donne che si prostituiscono per un pezzo di pane. Ma ci sono anche turchi “buoni”: come lo zaptier Moritz Bleibtreu che s’innamora di una ragazza armena e non potendola salvare testimonia contro se stesso e i suoi compagni di fronte al tribunale militare in un processo presto archiviato. Il popolo armeno infatti attende ancora giustizia, perché c’è chi tuttora nega i fatti e l’attrice d’origine armena Arsinée Khanjian s’accalora. Suo marito Atom Egoyan ha raccontato il genocidio in un altro film, Ararat, lei qui ha il ruolo della capofamiglia: “Quest’opera non è chiamata a dimostrare la verità di queste vicende ma punta il dito sulla responsabilità di chi sostiene la Turchia nella negazione”. Paolo e Vittorio Taviani cercano di ricostruire la genesi e le intenzioni di questa pellicola da 9 mln di €, girata in Bulgaria, prodotta come sempre da Grazia Volpi, con il contributo di Rai Cinema, Eagle Pictures, coproduttori francesi, bulgari, spagnoli. Nel grande cast internazionale ci sono Paz Vega, Moritz Bleitreu, Angela Molina, Tcheky Karyo, Christo Jivkov, André Dussolier, Mohammad Bakri e anche gli italiani Alessandro Preziosi e Yvonne Sciò. Nel libro di Antonia Arslan, che dei Taviani è diventata amica, si può trovare, dicono i registi, “la eco di queste terribili guerre in Kosovo, Serbia, Rwanda: la cosa più cupa della storia è questo ammazzarsi tra persone che si danno del tu”. E’ ovvio: i turchi non hanno l’esclusiva dei massacri. “Auguriamo al popolo turco di entrare in Europa e di fare i conti, come tutti, con il proprio passato. L’Italia ha avuto il fascismo e l’ha condannato, la Germania col nazismo ha fatto lo stesso”. C’è una grandissima parte del popolo turco che vuole affrontare questa pagina sanguinosa, dicono ancora i Taviani, che ricordano i centomila scesi in piazza per chiedere libertà d’espressione. “Magari è un’utopia, ma speriamo che tra qualche anno il nostro film sia proiettato nelle scuole”. Qualcuno ricorda il dissenso del rappresentante turco di Eurimages: “Solo lui ha votato contro il progetto su 33 paesi, un altro si è astenuto, tutti gli altri erano favorevoli. Ma ognuno ha il suo punto di vista e le sue responsabilità”.

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14 Febbraio 2007

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