La guerra in famiglia e quella dei reduci


CANNES – E’ qualcosa a metà tra Il cacciatore e una tragedia greca La fin du silence, opera prima del francese Roland Edzard selezionata dalla Quinzaine des Réalisateurs. Il film non ha nulla a che vedere con la guerra (se non quella familiare), ma con il capolavoro di Cimino condivide quel certo sentimento esplosivo e incontrollabile verso l’autodistruzione e un’ambientazione – in questo caso tra le montagne dei Vosgi – che si fa personaggio e simbolo. Mentre i protagonisti della storia irrompono sulla scena come eroi di una tragedia greca: sono figure più che personaggi, descritte dalle azioni più che dalle motivazioni. Dopo una violenta lite Jean (Franck Falise), un ragazzo problematico e disadattato, viene cacciato di casa dai genitori esasperati, si unisce a un gruppo di cacciatori e subito subisce il fascino del fucile. Che userà poi come una minaccia contro la sua famiglia, ormai compatta contro di lui e le sue inadeguatezze. La fin du silence è il racconto di una disgregazione familiare che tiene fuori campo le ragioni degli uni e degli altri e si focalizza sui loro gesti di violenza. “La prima idea per il film mi è venuta da una mappa, un territorio – aveva dichiarato il regista – due case, un fiume, un bosco e una strada tra le due case. Credo nelle immagini e nelle azioni, volevo fare un film di suspense impressionista, non un dramma sociale”. Obiettivo centrato.

 

Return, esordio di Liza Johnson, è l’unico titolo americano della selezione di quest’anno e vanta un cast di nomi piuttosto conosciuti come Linda Cardellini (tra gli interpreti de I segreti di Brokeback Mountain), Michael Shannon (Boardwalk Empire e Revolutionary Road) e John Slattery (Mad Men). Il suo tema – le conseguenze della guerra sulla psiche dei militari che tornano in patria – non è affatto nuovo per il cinema Usa, ma qui è visto dalla prospettiva femminile della protagonista Kelli (Cardellini), che progressivamente vede il suo mondo sgretolarsi intorno alla sua incapacità di affrontare la quotidianità dopo essere stata al fronte. “Return non è un’opera politica – ha affermato la Johnson nelle note di regia – non si tratta di un film che espone argomenti in modo binario. Questo film non dà nessun giudizio morale sulla guerra o la patria, ma si avventura su un terreno delicato che rende questi giudizi difficili. Mi sono interessata, come sempre nel mio lavoro, al tempo presente e all’atmosfera del quotidiano”. Terzo film della giornata è, infine, Porfirio, coproduzione tra Colombia, Spagna, Uruguay, Argentina e Francia. Realizzato nel corso di cinque anni grazie alle borse della Cinéfondation e del Sundance, il film di Alejandro Landes trae spunto da un fatto di cronaca “strillato” sui quotidiani nel 2005, quando un uomo paralizzato e con il pannolino da incontinente ha dirottato un aereo verso Bogotà. Porfirio riannoda i fili di questa vicenda spiandone il “dietro le quinte” e facendo del vero Porfirio Diaz il protagonista del film. Il regista lo ha infatti incontrato tre mesi dopo il fatto e poi ha seguito, ripreso, “interrogato” quest’uomo confinato tra il letto e la sedia a rotelle, che per vivere vende minuti di conversazione ai vicini sprovvisti di telefono e che durante quel famoso volo chiese di parlare con il presidente della Repubblica minacciando di far esplodere due bombe che aveva nel pannolino.

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14 Maggio 2011

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