“La Fée”, favola romantica dalle parti di Tati


CANNES – Se una fata vi chiedesse di esprimere tre desideri per esaudirli subito dopo, cosa chiedereste? Il protagonista di La Fée (La fata, appunto) opta per un motorino, benzina gratis a vita e… basta. Perché non sa decidersi. Lui è Dominique Abel, coregista e protagonista del film che inaugura la Quinzaine des Réalisateurs insieme a Fiona Gordon (la fata) e Bruno Romy, che invece veste i panni di un cameriere mezzo cieco. Le Havre, città portuale e industriale del nord della Francia ospita nel suo grigiore questa coppia colorata e folle che si conosce nella reception di un piccolo hotel. Lui è lo sbadato guardiano notturno Dom, lei – che si chiama Fiona anche nel film – si presenta una sera, scalza e senza valigia, e lo fa innamorare all’istante. E non solo perché esaudisce rocambolescamente i suoi due desideri. La loro imbranataggine combacia perfettamente e produce effetti esilaranti anche quando si incrocia con quella di due poliziotti ottusi, di un trio di aspiranti migranti clandestini, di un signore inglese che alloggia in hotel con il suo adorato cane e di una squadra fallimentare di rugby femminile. Terzo film del trio franco-belga-canadese dopo Iceberg e Rumba, La Fée è una vera e propria favola romantica, con molte parentele con la comicità silenziosa di Jacques Tati. “Il nostro è uno stile molto fisico – dice Dominique Abel – partiamo sempre da una piccola idea di poche pagine, che in questo caso era la fata che arriva di notte in un hotel, e poi iniziamo subito a fare le prove, divertendoci molto. E’ così che nascono le gag e tutte le altre idee. Approcciamo il film da un punto di vista fisico, con poche parole”. D’altronde i tre si sentono cugini degli illustri Chaplin, Keaton e Tati, adorano la recitazione basata sul corpo, che in La Fée esprimono anche con una bellissima scena di danza: “Ma non abbiamo mai studiato danza, veniamo dal circo-teatro e in queste scene abbiamo semplicemente cercato di mantenere la nostra naturale imbranataggine. Infatti non abbiamo nemmeno fatto uso di trucco: per noi era importante far emergere la fragilità comica dei nostri personaggi”. Una naturalità fisica che produce un efficace contrasto con l’uso di ingegnosi effetti speciali meccanici e con una grandissima cura scenografica.

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12 Maggio 2011

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