L’en plein dell’Iran nell’anno di Panahi


BERLINO – L’Orso d’oro della 61° Berlinale va al film iraniano Nader & Simin, A Separation di Asghar Farhadi che ha vinto anche gli Orsi d’argento per l’insieme della recitazione maschile e femminile con una decisione senza precedenti della giuria. Tra gli interpreti anche la figlia del regista Sarina FarhadiBabak Karimi, che vive e lavora come montatore in Italia collaborando con molti autori del nostro cinema. Babak, nel film, ha il ruolo del magistrato chiamato a dirimere la lite tra il protagonista e la badante che si occupa del suo anziano padre. Sul palco ha citato Giorgio Strehler dicendo che “è nei momenti più difficili che l’arte deve dare il meglio di sé” e ha poi ringraziato nella nostra lingua la presidente della giuria Isabella Rossellini. Quanto al regista, è stato molto cauto, come era accaduto anche durante la conferenza stampa del film, qualche giorno fa. “Gli iraniani – ha detto – sono un grande popolo e stanno dimostrando anche di essere un popolo paziente”. Un’allusione neanche troppo vaga alla situazione politica del suo paese, a cui è seguito un pensiero rivolto a Jafar Panahi, giurato “virtuale” del festival di Berlino. “Penso sempre a lui e spero che prima o poi tutto si risolva per il meglio”, ha detto Farhadi. Mentre Dieter Kosslick, nell’aprire la cerimonia di premiazione, aveva portato sul palco del Palast la sedia vuota con il nome di Panahi. Ma il premio al film iraniano, che ha immediatamente conquistato la critica internazionale in modo quasi unanime, non è un premio politico, anche se potrà assumere anche questo significato. E Farhadi, che due anni fa vinse qui l’Orso d’argento con About Elli, l’ha ribadito: “Questo non è un premio a Panahi o alla situazione che sta vivendo, la giuria non è stata influenzata da questi aspetti, anche se è giusto e importante sostenere Panahi. Il premio va al film in sé”. E a una giornalista del suo paese, che gli chiedeva una presa di posizione più dura, ha risposto con queste parole: “Non sono un eroe, sono un regista. Esprimo le mie idee attraverso i miei film e voglio continuare a farli. Anche ai miei colleghi chiedo di comunicare attraverso il cinema, che è il linguaggio più nobile. Come ogni altro essere umano, come ogni intellettuale, sostengo i movimenti pacifisti in tutto il mondo”. Infine su un eventuale messaggio politico di Nader and Simin: “Il potenziale del film è stimolare la gente a porsi delle domande e aprirsi a una riflessione. Grazie all’Orso d’oro e ai premi agli attori adesso molte più persone in tutto il mondo vedranno il film, e questo è importante”.

Il Gran premio della giuria è andato a The Turin Horse del maestro ungherese Béla Tarr, che ritirando il suo Orso d’argento è rimasto in assoluto silenzio, forse deluso o forse semplicemente tenendo fede allo straordinario rigore, quasi monastico, del suo cinema. The Turin Horse, ispirato alla malattia mentale di Friedrich Nietzsche, che non viene però raccontata ma solo “evocata”, potrebbe restare il suo ultimo film se Tarr manterrà fede alla promessa fatta tempo fa e ribadita anche qui a Berlino, di smettere di girare. Ora ha intenzione di dedicarsi alla produzione di giovani talenti fuori dal sistema, come ha raccontato nella conferenza stampa finale.

 

Orso d’argento per la regia al tedesco Ulrich Koehler con La malattia del sonno girato in Camerun. Koehler ha lanciato un appello per la liberazione di Panahi. A The Forgiveness of Blood, coprodotto dall’italiana Fandango di Domenico Procacci, è andato il premio per la migliore sceneggiatura diviso tra il regista, l’americano Joshua Marston e l’albanese Andamion Murataj. Il film, che uscirà in Italia nella prossima stagione, nasce da un grande lavoro di ricerca nel Nord dell’Albania, a contatto con famiglie che seguono i dettami del Kanun, l’antico codice che risale al XV secolo e che regola tra l’altro le faide familiari, ed è proprio una di queste tragiche vicende che viene raccontata in The Forgiveness of Blood, attraverso la storia di due personaggi appena adolescenti, un ragazzo e una ragazza, costretti a cancellare i propri sogni giovanili dopo che il padre e lo zio hanno ucciso un vicino di casa per una lite sui confini della terra. “Voglio dedicare questo premio all’Albania – ha detto Marston – e sono felice di condividerlo con Andamion, la prima volta che sono stato lì è stato con lui, abbiamo girato per il paese in auto, per un mese, incontrando famiglie che vivevano in isolamento totale a causa del kanun, bambini che non potevano più andare a scuola… proprio loro ci hanno ispirato e speriamo che il film possa far conoscere la loro situazione”.

 

L’Alfred Bauer Prize va al tedesco If not us, who, ritratto privato della terrorista Gudrun Ensslin. Due riconoscimenti tecnici alla coproduzione El premio, girata in Argentina: vincono il direttore della fotografia, il polacco Wojciech Staron, e la scenografa Barbara Enriquez.

La migliore opera prima è un film di Generation, vincitore anche dell’Orso di cristallo, On the Ice di Andrew Okpeaha MacLean, girato in Alaska da un regista che appartiene alla cultura “inupiat”.

autore
19 Febbraio 2011

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