Ambientato cinque anni dopo gli eventi di Jurassic World – Il Dominio, il nuovo film della saga giurassica diretto da Gareth Edwards riporta l’universo della serie a una fase più contenuta: i dinosauri non sono più una minaccia globale, ma vivono confinati in aree remote dell’equatore, dove il clima ricorda i loro antichi habitat. In questo scenario, la Terra si è rivelata un ambiente ostile per le creature preistoriche, e solo poche specie sono sopravvissute, rifugiandosi in zone tropicali inaccessibili.
Protagonista della storia è Zora Bennett (interpretata da Scarlett Johansson), agente sotto copertura al servizio di una potente casa farmaceutica. La sua missione: esplorare un’isola misteriosa – un tempo sede di Jurassic Park – per recuperare il DNA di tre specie leggendarie, una terrestre, una marina e una volante, con l’obiettivo di sviluppare una terapia rivoluzionaria.
Ad accompagnarla ci sono il paleontologo Dr. Henry Loomis (Jonathan Bailey), più intellettuale che uomo d’azione, e Duncan Kincaid (Mahershala Ali), comandante operativo incaricato della sicurezza. Tuttavia, la missione prende una piega inattesa quando la squadra scopre una famiglia di naufraghi sull’isola. Tutti finiscono intrappolati in un ambiente selvaggio, dove la natura si è evoluta in modi imprevedibili: creature geneticamente alterate e mutazioni terrificanti sono i risultati di esperimenti segreti condotti nel corso dei decenni.
Il film gioca su dinamiche di contrasto: Johansson incarna una figura d’azione determinata e carismatica, mentre Bailey offre un modello maschile più riflessivo, in linea con una rappresentazione moderna e meno stereotipata dei personaggi. Anche la presenza della famiglia latina naufragata aggiunge un tocco di diversità culturale.
Certo, non manca qualche forzatura narrativa – come la discutibile scelta del padre di portare le figlie in barca in un mondo popolato da predatori marini – ma il film riesce comunque a rendere plausibili questi elementi, trattandoli con una certa ironia. Si punta più al “payoff” che al “plot twist”: invece di cercare colpi di scena sorprendenti, si preferisce offrire al pubblico momenti familiari, riconoscibili e gratificanti, sia attraverso richiami interni alla narrazione sia tramite citazioni a episodi precedenti del franchise e ad altri classici come Lo Squalo (siamo sempre a casa di Spielbrg, dopotutto), che proprio in questi giorni compie 50 anni.
La struttura narrativa è semplice e quasi da videogioco: tre sfide principali – una per terra, una per mare e una per aria – suddividono il racconto in altrettanti atti. I personaggi secondari sono scritti in modo dignitoso, anche se alcuni sono evidentemente destinati a una fine rapida e tragica.
Rispetto al capostipite, il tono è meno horror e più orientato al pubblico generalista. I dinosauri non fanno più così paura: vengono spesso descritti come meno intelligenti degli esseri umani, che puntualmente riescono a sfuggirgli. Esclusi i cattivi, forse gli unici veramente più stupidi di loro.
A colmare il vuoto lasciato dalla paura “classica” arriva però un nuovo mostro: il Distortus Rex, un incrocio tra un T-Rex, un Rancor starwarsiano e uno xenomorfo di Alien, con sei arti e un aspetto da incubo. Domina il climax del film e riporta in scena un pizzico di terrore puro, sebbene possa far storcere il naso a chi già fatica ad accettare il ritorno dei dinosauri in sé.
Ecco alcune dichiarazioni di Edwards tratte da interviste a testate come ‘Vanity Fair’, ‘E! News’ e ‘Entertainment Weekly’: “Probabilmente è l’ultimo film che girerò mai in mare… è stato davvero difficile. Fisicamente estenuante, a volte quasi esperienze di pre-morte. Jurassic Park è un film horror nel programma protezione testimoni… io ero terrorizzato da piccolo… l’asticella è davvero altissima. Ogni incontro con un dinosauro è come un mini-film a sé… sembra una lettera d’amore ai primi film di Spielberg”.
L’effetto nostalgia è certamente garantito.
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