PETRALIA SOPRANA – Entrare nelle profondità nella miniera Italkali di Petralia Soprana è come tornare indietro di milioni di anni, all’ultima volta in cui il Mediterraneo si è prosciugato. Lì dove il sale si è accumulato a tonnellate protetto da uno strato d’argilla, ora ci sono sconfinate cave scavate con cura da strumenti che lasciano incisioni armoniche e curvilinee. In questa location fuori dal mondo, Joshua Oppenheimer ha deciso di girare il suo film sulla fine del mondo, The End. Per il regista britannico si tratta del primo lungometraggio di finzione, che arriva oltre dieci anni dopo gli acclamati documentari The act of killing e The look of silence.
The End racconta di una famiglia composta da un padre (Michael Shannon), una madre (Tilda Swinton) e un figlio (George MacKay), che, insieme ad alcuni fidati dipendenti, vive da oltre vent’anni in una miniera di sale, dove si sono rifugiati da un’apocalisse climatica che ha reso praticamente invivibile la superficie terrestre. Al sicuro in un bunker dove non mancano tutti i tipi di comfort, compresi una collezione delle più importanti opere d’arte della storia, il figlio è cresciuto senza conoscere il mondo se non nelle rappresentazioni artistiche, nei libri e nei racconti delle poche persone che lo circondano. Su di sé porta il peso di essere l’ultimo rappresentante della specie umana e della sua cultura. Per questo, tutto viene stravolto dall’arrivo improvviso di una ragazza (Moses Ingram), che viene accolta, nonostante le iniziali remore della madre. Questo elemento estraneo costringerà i familiari a confrontarsi come mai avevano fatto prima, rivelando una serie di intollerabili bugie.
Oltre a essere un dramma psicologico e familiare, The End è anche e soprattutto un musical, che sfrutta le canzoni per farci entrare nella psiche contorta di questi personaggi spinti allo stremo non solo dalla situazione in cui si trovano, ma dalle scelte che hanno fatto per arrivarci.
Abbiamo incontrato Joshua Oppenheimer nella miniera di sale dove il film è stato girato, a seguito di una set visit organizzata da I Wonder Pictures, che porterà The End nei cinema italiani dal 3 luglio.
Joshua Oppenheimer, perché una miniera era il luogo ideale per raccontare questa storia?
In The End i personaggi provano disperatamente a convincersi delle loro bugie attraverso le canzoni e si dimenticano del fatto di essere rinchiusi in un bunker. Volevo fare lo stesso con gli spettatori: la musica è così trascinante che speravo che il pubblico canticchiasse con i personaggi. Inoltre, volevo creare un’esperienza attraverso le scenografie, in modo tale da non sentirsi intrappolati in maniera claustrofobica. I quadri i sui muri sono come finestre su una natura perduta, ma che ci ricorda che esiste un fuori. Mi piaceva l’idea di una miniera di sale anche perché sono incredibilmente belle, con questa sorta di reminiscenza del mare, anche le forme del taglio del sale in qualche modo ci ricordano le onde. Tutto ciò ci ha portato a questa miniera, che mi permette di controllare quando lo spettatore si deve rendere conto di essere bloccato sottoterra e quando semplicemente si dimentica di essere in un bunker. Proprio come il protagonista fa con se stesso.
Quali sono state le sfide maggiori di girare in una miniera?
È stato piacevole per me, era un luogo silenzioso che mi permetteva di concentrarmi. Era come stare su un palco musicale ma bellissimo. Nei fatti è stato difficilissimo: c’era una sola linea fissa che correva per alcuni chilometri fino all’esterno, ed era l’unico modo per portare qualcosa dentro o fuori. In più questa è una miniera attiva, quindi hanno dovuto interrompere la produzione del sale tutte le volte che giravamo, proprio poco prima di dare l’azione. È stata una grande sfida.
Nel film c’è questa forte dicotomia tra coloro di cui non ti puoi fidare, ovvero gli estranei, e la famiglia. Perché il tema della fiducia è così importante per questi personaggi?
Credo che quando un personaggio parla di fiducia è tutto frutto della sua razionalizzazione. È una bugia. La madre dice che non possono accettare nessuno da fuori perché non possono fidarsi degli estranei: sta mentendo. Fa parte delle sue scuse. Ci sono alcune battute che parlano del mondo prima dell’apocalisse, in cui la madre e la ragazza dicono “non ci fidavamo di nessuno”. È un inno che la madre ha inventato e che la ragazza è costretta a cantare con lei e con cui cercano di razionalizzare la loro scelta. Quindi credo che quando si parla di fiducia ci sia sempre una bugia dietro, ma è anche un film su un giovane uomo che è stato cresciuto in un ambiente in cui sa di non potersi fidare di nessuno. Tutti gli mentono e l’unico modo che ha per trovare una vita piena di significato è quello di strappare quei piccoli scarti di verità scappati dalle crepe delle menzogne delle persone.
C’è speranza per loro?
Il vero messaggio del film è un messaggio di speranza: se riusciamo a essere sinceri con noi stessi e con le persone che amiamo, sentiremo una profonda compassione per tutta la famiglia umana e per questa terra. Possiamo unirci e salvarla, ma solo se siamo davvero onesti con noi stessi riguardo a dove siamo ora e a cosa questo momento ci richiede. E non importa quanto tempo ci rimane, perché siamo tutti mortali, se siamo sinceri e costruiamo vere relazioni di fiducia allora il nostro tempo sarà pieno di significato.
Come dicevamo, tutti i personaggi – tranne il figlio e la ragazza – mentono, continuamente. Almeno quando cantono, riescono a essere sinceri?
Tutti mentiamo, fondamentalmente. Mentire è l’unico dono che contraddistingue l’umanità. In qualche modo è da lì che scaturisce la nostra capacità di raccontare storie. I personaggi raccontano le loro profonde verità, cantano nei momenti di crisi: è il modo in cui razionalizzano per andare avanti. Stanno precipitando e disperatamente si protendono per convincersi di nuove bugie attraverso l’atto di cantare. Joshua Smith, il compositore ha creato questa bellissima orchestrazione e musica raggiungendo questi bellissimi contrappunti oscuri che attraggono i personaggi come una risacca nell’oceano. Un vortice che va giù verso la verità. Loro lottano contro l’abisso per raggiungere la superficie attraverso il canto e attraverso queste splendide melodie, mentre qualcosa li tiene avvinghiati giù alla verità. È per questo che le canzoni iniziano nelle bellissime stanze decorate, ma finiscono nella miniera. È come un magnete di verità che li richiama.
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