CANNES – Il tema della malattia mentale, o meglio della depressione post-partum, irrompe al 78° Festival di Cannes con tutta la forza immaginifica di Lynne Ramsay, cineasta scozzese alla sua ottava partecipazione al festival francese. Il suo disturbante ultimo lungometraggio, Die My Love, è stato presentato in Concorso, portando sulla Croisette due star di punta come l’attrice premio Oscar Jennifer Lawrence e il britannico Robert Pattinson.
Tratto dal romanzo di Ariana Harwicz, il film si configura come un viaggio dentro la follia, al tempo stesso lento e inesorabile, placido e rumoroso. Lawrence e Pattinson interpretano Grace e Jackson, una coppia che si trasferisce nella casa di campagna dove lui è cresciuto: il loro viene subito descritto come un amore puro fatto di attrazione, passione e spensieratezza. Tutto si complica quando Grace mette al mondo il loro primogenito, trasformando la sua viscerale allegria in qualcosa di sempre più oscuro e incontrollabile. Immagine simbolo di questa trasformazione: è quella in cui la donna mischia l’inchiostro (Grace ha velleità da scrittrice) al latte materno, dando vita una costellazione nera e indefinita.
“Come madre, è stato davvero difficile distinguere ciò che avrei fatto io da ciò che avrebbe fatto lei. Ed è stato davvero straziante – ha dichiarato Lawrence – Avevo appena avuto il mio primogenito, e non c’è niente di paragonabile al post-partum. È estremamente isolante, il che è molto interessante. Quando Lynne si trasferisce con questa coppia in Montana, non ha una comunità. Non ha la sua gente. Ma la verità è che l’ansia e la depressione estreme isolano, ovunque ti trovi. Ti senti un alieno”.
Ciò di cui sentiremo più a lungo parlare è proprio la prestazione dei due protagonisti, in particolare quella di Lawrence, che riesce a restituire un disagio che diventa sempre più incontrollabile. È chiaro come le indicazioni della regista fossero quelle di far virare la performance dell’attrice verso la bestialità: più volte Grace si muove a quattro zampe e, che sia nell’intimità di un rapporto sessuale in pubblico, i suoi comportamenti hanno quell’istintualità tipica degli animali. A tutto questo, Lawrence aggiunge le sue innate capacità umoristiche: nonostante la gravità di un film che è tutto tranne una commedia, si ride spesso, magari a denti stretti, grazie a diverse battute spontanee e coerenti con il contesto in grado di disinnescare la tensione.
“Avere figli cambia tutto. Ti cambia tutta la vita. È brutale e incredibile. Quello che succede a Grace non riguarda solo gli ormoni post parto, ma la sua è una crisi identitaria: non sa più chi è come persona, come partner, come scrittrice. Sente che sta scomparendo. Difficile descrivere la mia esperienza come attrice. Per fortuna avevo Ramsey come regista al mio fianco, e penso che tutto si esaurisca lì”.
Al suo fianco Pattinson interpreta un personaggio molto più ambiguo, stretto da un evidente amore nei confronti della partner, ma incapace di relazionarsi con la sua malattia. “Jackson non sembra il tipo che guarda i video di TikTok sulla genitorialità e cose del genere – ha dichiarato l’attore – Spera solo che la relazione torni come prima e non capisce perché stia succedendo loro questo, perché questo intruso si sia intromesso nella loro relazione. Immagino sia una paura che tutti hanno appena hanno un figlio.”
Die My Love è un film che parla di uno specifico e insostenibile dolore mentale che fa vacillare il mondo proprio nel momento in cui si dovrebbe essere più felici. Per restituire le sensazioni di disagio la regista si appoggia al montaggio e, soprattutto al sound design. Ronzii di insetti (nelle scene con la suocera), abbai di cane (in quelle con Jackson), vagiti di bambino, borbottii di motocicletta ossessionano la protagonista e, con lei, lo spettatore, che l’accompagna in questo viaggio verso l’oscurità. La pace bucolica che circonda Grace e Jackson viene quindi frequentemente disturbata da picchi improvvisi di rumore e di musica rock, vere proprie esplosioni di suono che fanno saltare lo spettatore sulla poltrona. La minaccia sembra arrivare dall’esterno, dal mondo selvaggio, dalla solitudine. Invece, il male ha radici molto più profonde e sconosciute, che scavano dall’interno.
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