CANNES – “Avevo queste immagini che balenavano nella mia mente, di tutti i miei amici in prigione, potevo vedere tutte le loro facce, una per una”: così Jafar Panahi descrive il momento in cui, sentendosi annunciare come vincitore della Palma d’oro al 78° Festival di Cannes, è sprofondato nella poltrona del Grand Auditorium Lumière, con le mani ai capelli, incredulo.
Con il premio ritirato oggi – 24 maggio 2025 – per il suo Un simple accident, il regista dissidente iraniano diventa il secondo cineasta della Storia a vincere i primi premi dei quattro principali festival europei: La Palma d’oro, il Leone d’oro, l’Orso d’oro e il Pardo d’oro. Un’impresa che era riuscita solo al nostro Michelangelo Antonioni. “Le persone nel cinema iraniano devono combattere molto per arrivare a questo punto. – afferma Panahi nella conferenza stampa dedicata ai premiati – Ora i miei amici continueranno nel loro percorso e scopriranno che nessun potere può fermarli. Abbiamo il potere di trovare soluzioni anche in situazioni difficili”.
“Per me e per la mia generazione il cinema è ciò che conta di più, mettiamo la vita nei film che vogliamo fare, senza concentrarci sui problemi economici, facciamo quello che vogliamo fare, che dobbiamo fare” aggiunge, facendo riferimento al suo cinema indipendente, che non ammette finanziamenti esterni.
Per Joachim Trier, vincitore del Gran Prix con il suo Sentimental Value, la serata di oggi riecheggia con il suo alter-ego nel film: il regista interpretato da Stellan Skarsgård. “Il regista del film ha vinto una Palma d’oro, quindi posso dire che sono bravo quasi quanto lui – ironizza – Ho scritto il ruolo per Stellan molto tempo fa: è un personaggio complicato, qualcuno che è diventato un pessimo padre, ma è anche una persona interessante. Stellan è stato in grado di dargli tridimensionalità e vulnerabilità. Sono grato che abbia accettato”.
“Sono cresciuto con la camera tra le mani, – aggiunge il regista norvegese, che con il suo film compone “una storia polifonica” su una famiglia di artisti. “Sono un cineasta di terza generazione, per me non è mai stata una scelta. Sono solo contento di potere vivere facendo questo lavoro. Spero di non perdere mai il mio approccio infantile e curioso. Continuerò a fare film, questo premio è un’ispirazione”.
Il regista brasiliano Kleber Mendonça Filho, autore di O agente secreto, può celebrare due volte, in quanto il suo film si è aggiudicato sia il premio come Miglior regia che quello per il Miglior interprete maschile, Wagner Moura. “Conosco la storia di questo premio e sono molto orgoglioso. – afferma Filho – Penso che questo sia un momento speciale, avere una grande ricezione in un festival come Cannes non è qualcosa che puoi fare in un laboratorio, è qualcosa di organico. Sono felice di avere parlato con giornalisti provenienti da ogni parte del mondo, ma voglio che questo film sia visto dal pubblico brasiliano, perché è un film brasiliano. Dal Nord al Sud, siamo una Nazione divisa. È qualcosa che accade in ogni parte del mondo perché ci sono tanti luoghi divisi”.
Assente alla premiazione perché impegnato su un set, Moura è intervenuto in videochiamata: “Sono qui tutto solo a Londra con un bicchiere di vino in mano, ma vorrei essere lì con voi. Penso sia uno dei momenti più importanti della mia vita, qualcosa che significa molto per la cultura brasiliana” ha detto l’attore direttamente dal telefono del suo regista.
Tra tutti i premiati del 78° Festival di Cannes ce ne sono due che sono decisamente abituati a serate come questa: Jean-Pierre e Luc Dardenne, che con il premio alla Miglior sceneggiatura assegnato al loro Jeunes Mères ritirano il nono riconoscimento ottenuto da un loro film presentato sulla Croisette. Questa volta, però, il merito è da dividere con le loro splendide protagoniste: cinque giovani attrici che hanno vestito i panni di altrettante ragazze madri. “Recitare con un bambino è diverso rispetto a farlo con una bambola, perché il bambino si muove, devi stare attento perché ne sei responsabile e questo crea tensione nelle riprese. – afferma Luc Dardenne – Sono state tutte e cinque incredibili, in un certo senso hanno co-scritto il film”.
“L’idea di queste case famiglia per giovani madri sta nel provare a rompere quel circolo vizioso per cui ognuna ripete la situazione familiare in cui è cresciuta. – continua il regista belga – Credo che sia criminale quando la politica non sostiene queste case e taglia i sussidi”.
“Quando abbiamo visitato per la prima volta queste case, abbiamo visto le madri, i bambini, gli educatori, le psicologhe, e abbiamo visto quanto ci fosse un’atmosfera calma. C’era questo desiderio di preservare la fragilità della vita. – gli fa eco suo fratello Jean-Pierre – Nel mondo di oggi, pieno di violenza e di persone senza scrupoli, pensavamo che fosse bello parlare di donne che provano a preservare la fragilità della vita”.
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