NYON – Quando Visions du Réel ha annunciato, un paio di mesi fa, la venuta di Gianfranco Rosi tra gli ospiti dell’edizione 2017, accompagnato da una retrospettiva completa dei suoi film (da Boatman, uscito nel 1993, a Fuocoammare, Orso d’Oro a Berlino nel 2016), era previsto che il cineasta si prestasse ad una Masterclass aperta al pubblico, nella sezione festivaliera denominata Atelier. Rosi aveva accettato a patto che potesse presenziare anche Jacopo Quadri, montatore di tutti i suoi film e collaboratore di cineasti come Bernardo Bertolucci e Paolo Virzì, per parlare del rapporto molto stretto fra il regista e il responsabile del montaggio. A festival già iniziato abbiamo appreso che il regista non sarebbe stato in grado di venire a Nyon per motivi di salute, ma la Masterclass ha comunque avuto luogo, divisa in due parti: la seconda, più tecnica, incentrata su come Quadri ha lavorato su alcune sequenze di Fuocoammare, ponendo a confronto diverse versioni prima di arrivare al risultato finale; la prima invece è stata la porzione conversazionale, moderata da Luciano Barisone e Giona Nazzaro, sul suo rapporto ormai più che ventennale con Rosi. Si è parlato, in particolare, delle loro prime tre collaborazioni, realizzate prima della consacrazione legata a Sacro GRA, Leone d’Oro alla Mostra di Venezia nel 2013. I due si sono conosciuti nei primi anni Novanta, quando Rosi, allora residente a New York per motivi di studio, ha invitato Quadri a casa sua per montare quello che è divenuto Boatman.
“Gianfranco ha lavorato a quel progetto per 7-8 anni, recandosi diverse volte in India. Era il suo film di diploma per l’università, la NYU. Il montaggio è avvenuto in tre fasi, ciascuna fatta di tre settimane consecutive di lavoro seguite da un periodo di pausa. Gianfranco durante le pause tornava in India per girare del materiale aggiuntivo, una volta c’è andato solo per registrare dei suoni.” Il montatore ha anche sottolineato un aspetto molto particolare di questa collaborazione: “Nei film di Gianfranco fa tutto lui, operatore, tecnico del suono, e così via. Per anni, in quanto montatore, sono stato un collaboratore abbastanza unico, poi per gli ultimi due film c’è stata anche una produzione. Prima anche quello era tutto in mano a Gianfranco.” Viene menzionato il ritmo piuttosto particolare di quel progetto, più vicino ai film di finzione che ai documentari. Una scelta motivata, in parte, dal fatto che Boatman, pur raccontando un’unica giornata nella vita dell’omonimo barcaiolo indiano, è stato palesemente girato in un arco temporale più lungo. “Si notava che lui fosse invecchiato da una sequenza all’altra, e questo ha contribuito alle scelte di montaggio. Però quando lavoro non mi chiedo mai se sto facendo cinema, televisione, o altro. Io monto.” In quell’occasione è nato un sodalizio legato anche alle preferenze cinefile di Quadri: “Quello di Gianfranco è il tipo di cinema che piace a me, un cinema onesto.”
Tra l’uscita di Boatman e del film successivo di Rosi, Below Sea Level (vincitore del Premio Orizzonti a Venezia nel 2008), sono passati quindici anni. A cosa era dovuto quell’intervallo così lungo? “La genesi di Below Sea Level è stata lunga, tanto per cominciare”, spiega Quadri. “Inizialmente era un progetto molto diverso, e il film finito, incentrato su quella località specifica, è solo una parte di quello che è stato girato. Abbiamo cercato di trasformare il materiale scartato in un film a sé, anche perché mi dispiaceva dover dire ad un amico che era meglio tagliare metà del progetto per ottenere qualcosa di fluido e coerente, ma non abbiamo avuto i mezzi per completarlo. Inoltre nessuno ci considerava così importanti, all’epoca Gianfranco faceva anche altri lavori: lavorava come operatore sui film degli altri, faceva il supervisore del doppiaggio per alcuni film americani che venivano doppiati per l’uscita italiana. Non era ancora Gianfranco Rosi, grande regista premiato.” La parte finale della conversazione ha avuto come oggetto il film più controverso di Rosi, El Sicario, Room 164 (2010).
Anch’esso presentato a Venezia nella sezione Orizzonti, è un lungometraggio nato nella clandestinità più assoluta, mettendo a rischio le vite delle persone coinvolte. “Gianfranco stava lavorando a un altro progetto con il giornalista Chuck Bowden, tramite il quale è venuto a sapere dell’esistenza di questo ex-assassino a pagamento. L’intervista è stata organizzata molto velocemente, e realizzata in due giorni in un motel.” Il sicario che dà il titolo al film indossa una maschera, il che può indurre lo spettatore a chiedersi se l’uomo in questione fosse veramente chi sosteneva di essere. “Avremmo potuto usare solo la voce off, con altre immagini, ma non penso che avrebbe influito maggiormente sulla credibilità.” Per quanto riguarda l’accordo finanziario tra Rosi e l’intervistato, c’è un retroscena molto personale per Quadri: “I 4.000 dollari usati per pagare il sicario per l’intervista glieli ho prestati io, con la dovuta precisazione che non volevo essere ritenuto responsabile in caso Gianfranco fosse morto facendo questa cosa. Quando poi è intervenuta una vera produzione per aiutarci a finire il film – mi sembra di ricordare che lo abbiamo montato a Parigi – mi hanno offerto la possibilità di essere citato come produttore. Io ho detto di no, volevo solo riavere indietro i miei soldi.”
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