Isabelle Adjani, settant’anni di febbre blu

Una diva mai addomesticata, nata Parigi il 27 giugno 1955: nel cinema, il primo segno lo lasciava già a 20 anni ne ‘L’histoire d’Adèle H.’ di François Truffaut, ma in tempi recenti ha saputo giocare anche con il proprio mito, nell’irresistibile apparizione in ‘Call My Agent!’


Isabelle Adjani compie 70 anni. 70 anni da cui è difficile sottrarre l’ambiguità, l’eccesso e la bellezza folgorante che hanno fatto di lei un corpo attoriale unico, sempre in disequilibrio tra lirismo e abisso. Non è mai stata un’attrice “del metodo”, né “del personaggio”. È stata – e resta – una figura visionaria, quasi medianica, capace di incarnare l’enigma femminile in forme tanto carnali quanto trasparenti.

Nata il 27 giugno 1955 a Parigi, nel cinema il primo segno lo lascia già a 20 anni ne L’histoire d’Adèle H. di François Truffaut: una prova che è tutta pelle, sguardo, desiderio in rovina. Adjani non interpreta Adèle Hugo: si fa attraversare da lei, dalla sua ossessione, dalla sua lucida follia. La candidatura all’Oscar come Miglior Attrice – la più giovane di sempre, all’epoca – non sarà un semplice riconoscimento, ma una promessa mantenuta; per questo ruolo, anche il David di Donatello (1976) alla Miglior Attrice Straniera.

Nei decenni successivi, la sua filmografia si popola di donne inquiete, in fiamme. In Possession (1981) di Andrzej Żuławski – ancora oggi uno dei suoi ruoli più radicali – è al centro di un’isteria cosmica, fisica, animalesca, che travalica il cinema di genere e si fa manifesto di un corpo femminile che implode.

Poi venne Camille Claudel (1988), prodotta da lei stessa, dove ancora una volta Adjani sprofonda nel personaggio fino a sfiorare l’autodistruzione, accanto a Gerard Dépardieu. Non c’è romanticismo né vittimismo nella sua Camille, solo furore scultoreo e dolore inscalfibile.

Non va dimenticato La Reine Margot (1994) di Patrice Chéreau, dove la sua Margot si muove tra sangue e incenso, portando in scena una sensualità mortifera e barocca che la rende icona assoluta degli Anni ‘90.

Attrice difficile da “dirigere”, Adjani non si è mai concessa completamente a nessuno. Ha lavorato con registi geniali ma non ha mai appartenuto a un sistema. Si è spesso sottratta, ha detto molti no, ha scelto l’eclissi. Forse per questo, la sua presenza è ancora così potente: perché intermittente, imprevedibile, mai addomesticata.

Dietro l’apparizione – gli occhi blu, il viso diafano, la voce bassa e musicale – c’è sempre stata una volontà ferrea di non essere ridotta a immagine.

Eppure, in tempi recenti, ha saputo giocare anche con il proprio mito, come accade nella sua irresistibile apparizione in Call My Agent! (2017), dove si diverte a sabotare la propria immagine pubblica con ironia e intelligenza. Una lezione di leggerezza da parte di chi, per decenni, è stata sinonimo di gravità incandescente.

Di recente è tornata, diretta da Susanne Bier, nella serie The Perfect Couple (Netflix) con Nicole Kidman e Liev Schreiber.

Oggi, a 70 anni, Isabelle Adjani resta una figura intatta e perturbante. Non per nostalgia, ma per mistero. Perché non è mai stata là dove la si cercava. Perché ha abitato il cinema come una febbre: con una grazia scomposta, con una furia che brucia ancora.

 

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27 Giugno 2025

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