“Into Paradiso”, la camorra beffata da una favola


Un topo da laboratorio che resta all’improvviso senza lavoro per i tagli alla ricerca scientifica, un ex campione di cricket finito a fare il badante, un politico faccendiere e colluso con la camorra: sono i tre protagonisti di Into Paradiso, la commedia di Paola Randi, che dopo l’anteprima alla Mostra di Venezia e in molti festival internazionali, arriva in sala l’11 febbraio con Cinecittà Luce in una trentina di copie. Per il distributore, Luciano Sovena, una sfida difficile “far uscire un film d’autore in un momento in cui altri titoli italiani sono in cima agli incassi e occupano magari tre o quattro sale di uno stesso multiplex”. E il produttore Fabrizio Mosca (I cento passi, Nuovomondo) fa addirittura un appello a critici e giornalisti, “parlate del film e invogliate il pubblico ad andarlo a vedere”.

 

Opera prima costata appena 900mila euro, col contributo del MiBAC, Into Paradiso nasce da un’esperienza di taglio documentaristico. La milanese Paola Randi fu infatti colpita dal melting pot che si respirava a Napoli, Piazza Dante, con i ragazzini napoletani che giocavano a calcio, mentre i loro coetanei srilankesi facevano una partita a cricket dall’altro lato della strada. “Quattro mesi di ricerche mi hanno portato a immaginare l’incontro tra uno straniero e un italiano straniero in patria, un uomo che, non più giovanissimo, perde l’impiego e si ritrova estraniato”.

 

Alfonso D’Onofrio (Gianfelice Imparato) vive solo, in un appartamentino con vista sui loculi del cimitero dove la defunta madre lavorava, e si porta dietro la fama di menagramo. Così quando va a chiedere una raccomandazione all’ex amico d’infanzia Vincenzo Cacace (Peppe Servillo degli Avion Travel), ora candidato alle comunali, quello neanche lo prende in considerazione. Per poi ricredersi non appena il boss della camorra a cui deve tutto gli chiede di trovare un “fodero”, ovvero un fesso incensurato per consegnare una pistola che servirà a un regolamento di conti. Ma le cose vanno storte e i due finiscono per rifugiarsi all’ultimo piano di un fondaco popolato dalla vivace comunità srilankese. Lì è appena sbarcato lo sportivo in disarmo Gayan (Saman Anthony), che credeva di trovare in Italia il paradiso e si vede invece destinato a fare il cameriere a un’anziana signora appassionata a una telenovela brasiliana.

 

Una favola colorata di sogni a occhi aperti sottolineati dall’uso di effetti artigianali e dell’animazione a passo uno, con le musiche di Fausto Mesolella degli Avion Travel. Ma una favola amara, che dipinge una Napoli devastata dal cancro della malavita organizzata. Una Napoli “assolutamente autentica, che tra le cose positive ha saputo conservare tolleranza e accoglienza”, come sintetizza Gianfelice Imparato (Gomorra, La bellezza del somaro). Mentre per la regista l’integrazione è una sorta di “convivenza forzata in una metropoli contemporanea piena di cose e con una varietà di luoghi incredibile”. Peppe Servillo sottolinea le contraddizioni di una città dove si alternano “simpatia e antipatia, furbizia e indifferenza”. Infine Saman Anthony, che ha vissuto in Italia vent’anni lavorando come cuoco in un ristorante di Lecco e soggiornando a lungo anche nel capoluogo partenopeo, “noi srilankesi, come si dice nel film, ci facciamo i fatti nostri, anche se vediamo benissimo quello che ci succede attorno”.

 

In chiusura Paola Randi, che fa parte dello sparuto 7% di registe in Italia (e negli Usa), affronta il tema delle pari opportunità con convinzione: “La scelta tra carriera e famiglia non ha senso in una civiltà evoluta, c’è bisogno del patrimonio creativo delle donne e bisogna offrire opportunità di accesso alle professioni. E’ appena nato un movimento delle lavoratrici dello spettacolo, il Maude, che si batterà per questo in un momento poco felice per le donne nei media del nostro paese”. Prima uscita pubblica, l’adesione alla manifestazione del 13 febbraio per la dignità di genere.

autore
31 Gennaio 2011

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