IL RICORDO


In questi ultimi giorni freddi del 2003, a vent’anni esatti dall’anno in cui Daniele Segre ci presentò, io giovanissima speranza del neonato festival di Torino, lei fulgida maestra omaggiata a Salsomaggiore (1983: i Fantasmi del Fallo e Maschi si nasce non si diventa), ho percorso così tante volte la via d’Alibert per andarla a trovare, la vetrina del Filmstudio, la sua casa affacciata al campo di calcio di Davoli e Pasolini, chiedendomi ogni volta cosa ne sarebbe stato di quella via senza Annabella.
Mi ha soccorso un verso di Paul Celan, il poeta della Shoah, la fine del mondo: “Il mondo non c’è più, io debbo portarti. Il mondo è fuggito, il mondo ci ha lasciato, il mondo non è più, il mondo è lontano, il mondo è perduto, il mondo è deceduto. Quando il mondo è morto con te, io ti devo portare, te solo in me e in me solo”.
Portare, verbo della nascita (portare in grembo il figlio) e della morte (portare il lutto), è anche il verbo, dice Derrida citando Celan, della traduzione, dell’unico possibile modo di dialogare con le opere in assenza dei loro autori.
L’opera di Annabella Miscuglio è contenuta in alcuni scatoloni e valige, che ieri, assecondando le sue ultime volontà, suo figlio Piero ha estratto dagli armadi ed esposto, tra i fiori della camera ardente. Sono super otto in ottemperanza all’estetica etica della caméra stylo dell’underground, sono piezz’e core per noi donne che attraversiamo col corpo le epoche (e se domani lo vedrete durante la cerimonia al Filmstudio, Fughe Lineari non è avanguardia ma mélo puro, inno di emozione e oltre il concettuale), sono frammenti di un’archeologia ancora tutta da scrivere (vedere Streetwalking on a ruined map di Giuliana Bruno per una epistemologia del genere). Poi ci sono i 3/4, poi ci sono i Beta di “Chi l’ha visto”, poi, poi… tra lilium e rose la sua calligrafia buca i formati e si sgrana in ricamo, rosario, roseto.
Annabella, più che un compianto il mio estremo omaggio vuole essere un impegno, l’impegno a portarti. La tua è una generazione maestra (vent’anni tra te e me, vent’anni dal nostro incontro) della decostruzione e c’è chi dice a rischio di distruzione. Molti miei coetanei ne hanno paura e pensano che tornare alla generazione precedente la tua possa essere una difesa. E’ di qualche giorno fa l’ennesima dichiarazione di un regista emergente che spara a zero sul cinema di ricerca, liquidato come cinema degli anni sessanta e settanta. Non sono sua compagna. Penso che l’opera al nero della nostra generazione non sia ancora stata concepita. Tra i sampietrini e la scale ripide di via degli Orti la sto cercando. E, per finire ancora con Celan, scavando convulso estraggo la tua benedizione pietrificata.

autore
24 Febbraio 2003

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