Tratto dal romanzo “Mistakes by the river” di uno dei più importanti autori cinesi contemporanei Yu Hua, il film del regista Wei Shujun racconta una serie di omicidi che avvengono nel villaggio di Banpo in un paese della Cina rurale degli anni ’90, omicidi che sembrano apparentemente collegati al cadavere di un’anziana donna ritrovato sulla sponda del fiume.
A guidare le indagini sulle morti misteriose è il detective della polizia Ma Zhe (Zhu Yilong), il quale inizierà, poco a poco, a perdersi nella fitta rete di indizi che sembrano legare tutti gli omicidi/suicidi. Tra testimonianze raccolte, indizi trovati sulla scena del crimine e tanti sospettati, Ma Zhe finirà per cadere in un turbine violento dove è sempre più difficile distinguere la realtà dalla finzione. Dopotutto, qual è la differenza tra i due piani?
Il primo a metterne in dubbio la validità è proprio il regista che sceglie di collocare la squadra di polizia che si occupa delle indagini all’interno di un cinema dismesso; “tanto al cinema non va più nessuno”, dice il commissario a capo delle indagini. Così, proprio dove lo schermo un tempo “raccontava” storie di finzione, ora si trovano gli schermi della scientifica e le carcasse di maiali per il tracciamento della balistica.
Un noir, quello immaginato da Wei Shujun, che non impernia la narrazione sull’andamento delle indagini. A trainare la narrazione sono invece le pressioni psicologiche e il conseguente mutamento della lucidità mentale del suo protagonista, trascinato sempre di più nella spirale dell’incertezza e soffocato dai dubbi, personali e lavorativi. Anche se il colpevole di tutte queste morti sembra essere lo scemo del villaggio -come viene chiamato da tutti – un uomo con gravi problemi mentali, Ma Zhe continua a pensare che i tasselli del puzzle in realtà non corrispondano, così come quelli che cerca di ricomporre sua moglie in dolce attesa. Tutti trepidano nel voler comunicare il nome del colpevole, ma il protagonista è sempre più convinto che oltre quella realtà così semplice, ci sia qualcosa di più oscuro. Il sospetto di Ma Zhe, finisce per coinvolgere progressivamente anche lo spettatore, ormai completamente assorbito e identificato con il personaggio, per merito delle numerose soggettive che iniziano a prendere il controllo quando la ragione dell’uomo va perdendosi. A suggellare il solido legame tra la psiche del personaggio e il tempo del racconto è la scelta stilistica di rallentare il ritmo dell’azione a seconda della struttura interiore di Ma Zhe: parte svelta ma finisce per indebolirsi progressivamente in sequenze dilatate via via che inizia a perdersi in un pantano di incertezze.
Tutti gli stilemi del noir rientrano nella visione di Wei Shujun: il protagonista tormentato dal dubbio se tenere o meno il figlio che potrebbe nascere malformato e il controverso caso da risolvere. Ad accogliere Ma Zhe, ormai perso nei labirinti della mente, i paesaggi cupi e angoscianti che ingoiano lo spettatore grazie alla scelta registica di girare il film interamente in pellicola 16mm rendendo così la struttura visiva opprimente e soffocante come la mente dell’uomo. Tutte sensazioni che, nel noir immaginato dal regista – deciso ad andare oltre i paradigmi del genere – rispecchiano e analizzano un tema più intimo: quello del peso che ai nostri giorni grava sull’individuo, perso in un mondo che appare sempre più sconcertante e respingente, dove è difficile distinguere concretamente il confine tra realtà e allucinazione, tra cinema e finzione. La lucidità mentale è invece la prediletta virtù del regista cinese che sceglie di introdurre simboli e metafore in tutto il lungometraggio: dal rumore del treno in una registrazione su nastro come a identificare la possibile esistenza di più traiettorie da seguire, al puzzle di sua moglie impossibile da ricomporre dopo che ha gettato i tasselli nello sciacquone – ma che alla fine si completa -, e a quel palco che prima ospitava lo schermo di proiezione, eletto da sempre come elemento di finzione, e che diventa esso stesso podio di una delle più grandi “finzioni”: la vita reale. Il mistero dunque, è tutto lì.
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