Il doc su Letizia Battaglia in anteprima al Prix Italia

'Il mio nome è Battaglia' è dedicato alla fotografa palermitana, scritto e diretto da Cécile Allegra, prodotto in collaborazione con Rai Documentari, con il sostegno del MiC e della Film Commission Torino Piemonte


Letizia Battaglia ha fatto della sua vita una conquista e della sua arte un impegno permanente. La fotografa palermitana ha documentato i crimini della mafia e denunciato la corruzione; ha reso visibili gli emarginati, colto la tenerezza dei bambini e la resilienza del corpo delle donne.

Scritto e diretto da Cécile Allegra, il documentario Il mio nome è Battaglia viene presentato in anteprima al Prix Italia in corso a Torino, e ripercorre la sua vita cercando di ritrovare nei suoi scatti il mondo e l’umanità svelati dal suo sguardo.

Le sue immagini sono simboli e nelle voci dei testimoni a lei vicini riemergono gli anni di sangue della Storia italiana contemporanea, attraverso lo sguardo di una fotografa innamorata della libertà.

Il doc è prodotto da Zenit Arti Audiovisive e Nilaya Productions, in collaborazione con Rai Documentari, France Télévisions e Histoire Tv, con il sostegno di Centre national du cinéma et de l’image animée, Procirep – Société des producteurs et de l’Angoa, Film Commission Torino Piemonte – Piemonte Doc Film Fund, MiC – Ministero della Cultura.

Letizia, sposata a sedici anni, si ritrova rinchiusa nel ruolo di donna e madre, nella Sicilia patriarcale degli Anni ’60. Dopo una grave depressione, scopre la psicoanalisi: divorzia e parte per Milano dove diventa fotogiornalista. Fotografa la rivolta dei movimenti studenteschi e la vita quotidiana degli emarginati. Nel ‘74 viene richiamata in Sicilia dal giornale “l’Ora”. In quel periodo, nel clan dei Corleonesi, Toto Riina, Bernardo Provenzano e Leoluca Bagarella si combattono per la conquista del potere: regolamenti di conti, corruzioni e traffici di droga fanno della Sicilia un territorio in guerra. Palermo vive anni di sangue. Battaglia vive “in apnea”, macchina fotografica al collo, telefono collegato 24 ore su 24, sempre pronta a saltare sul suo scooter per coprire i crimini mafiosi. Donna in un ambiente di uomini, diventa una delle poche a passare i cordoni di sicurezza. Fotografa i morti, ma non solo. Documenta anche i danni collaterali: la quotidianità della malavita, le donne in lutto, i bambini con un destino fragile, tutto un popolo divorato dalla povertà. Letizia rende visibile l’invisibile, e rompe l’omertà. Dà un volto alle vittime, ma anche un volto ai criminali, e a coloro che li combattono. Negli Anni ’80 segue il lavoro del Pool Antimafia composto dai giudici Falcone e Borsellino: fotografa gli arresti e i processi dei mafiosi. Misura il prezzo da pagare. I “giustizieri” antimafia vengono assassinati uno dopo l’altro. Lei stessa riceve minacce di morte. Ma persiste. A partire dal 1987 si impegna in politica a fianco del sindaco di Palermo, Leoluca Orlando, per combattere la corruzione. Cerca di ridare vita ai quartieri storici, di salvarli dall’abbandono e dalle speculazioni immobiliari della Piovra. Letizia si avvicina agli abitanti più disagiati, prostitute, piccoli delinquenti, bambini di strada, tutti prigionieri della città che ama. È volontaria presso l’ospedale psichiatrico di Palermo: accoglie una delle giovani internate, una schizofrenica abbandonata dai genitori. All’inizio degli Anni ’90 comincia una dolorosa discesa agli inferi: il giudice Falcone viene assassinato. Il 19 luglio 1992, è sul posto quando il giudice Borsellino viene assassinato a sua volta. Si rifiuta di fotografare la scena. Traumatizzata, decide di non recarsi mai più sulle scene del crimine: la testata “l’Ora” chiude i battenti. Sua madre muore. Parte per un viaggio in Groenlandia per cercare di dimenticare il suo passato e i suoi “archivi di sangue” in quei paesaggi deserti e ghiacciati. Di ritorno a Palermo, Letizia cerca di ricostruirsi. Ora fotografa solo i bambini e le donne, queste siciliane che, in prima linea nella lotta antimafia, rappresentano per lei una speranza di pace e giustizia. Nel suo progetto “Rielaborazioni” sovrappone ai suoi archivi insanguinati corpi femminili poetici e nudi, simboli di un futuro possibile, riparato. (n/b)

 

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01 Ottobre 2024

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