Un corpo disteso sul ciglio della notte. Una verità a lungo resistita, nonostante tutto.
Ci sono storie che si sottraggono alla luce; vicende che, per anni, restano sospese in un tempo immobile, protette da un silenzio ostinato. La morte di Denis Bergamini, centrocampista del Cosenza, è una di queste. Il 18 novembre 1989 il suo corpo viene ritrovato sull’asfalto, accanto a un camion che trasportava agrumi, nella periferia di Roseto Capo Spulico. Da allora, una verità frettolosa – il suicidio – si fa legge, mentre le domande rimangono a fluttuare come fantasmi. Lei, la fidanzata ventenne del tempo, Isabella Internò, è stata – al momento – condannata in primo grado per l’omicidio di lui.
Il cono d’ombra. La storia di Denis Bergamini, prodotta da Sky TG24, Sky Crime e Sky Documentaries in collaborazione con TapelessFilm, non è solo una docuserie investigativa ma è un viaggio negli interstizi del tempo e della memoria. Pablo Trincia – autore, voce narrante, presenza discreta ma determinata – ricostruisce l’intreccio di menzogne e omissioni che ha avvolto per oltre tre decenni la fine di un ragazzo silenzioso, delicato, già allora estraneo allo spettacolo del calcio come macchina.
Per Trincia, già autore del podcast tematico, quindi contenuto complementare della docuserie, di cui è orgoglioso per l’utilizzo dell’approccio scientifico, la nascita del progetto: “è stata molto rapida, perché venivamo da Rigopiano e avevamo bisogno di cambiare registro. Denis Bergamini era uno dei casi che tornava sempre nei nostri file. Poi abbiamo visto che c’era coinvolto l’avvocato Fabio Anselmo, abbiamo fatto una call, e lui ci ha detto che c’era tantissimo materiale, audio e video: questo ha spostato l’ago della bilancia. Poi, c’era l’immagine di questa macchina, che entra in questa piazzola di sosta, con due persone dentro, e poi una delle due – un’ora e mezza dopo – è morta sotto un camion: sembra veramente l’inizio di un romanzo, per quanto purtroppo non lo sia, ed è qualcosa che subito ha un elemento di mistero molto forte, che ci ha invogliati a entrarci dentro e a cercare di illuminare il più possibile questa zona, questo cono d’ombra”.
Ciascuno dei 4 episodi si muove come una partitura, fatta di archivi, testimonianze, processi e domande mai sopite. Il regista Paolo Negro – anche autore, insieme a Trincia stesso e a Debora Campanella – accompagna il racconto con un rigore sobrio e dolente, evitando l’enfasi e affidandosi alla densità delle parole, ai vuoti dei documenti, alle crepe nei volti di chi parla. Ne emerge un paesaggio emotivo denso, dove i confini tra realtà e rimozione si fanno labili.
Negro spiega il lavoro composto tra “il cono d’ombra” della piazzola di sosta e il reenactment, dicendo che ci fosse “una necessità di ricerca: la modellizzazione è uno strumento che ti aiuta moltissimo nella comprensione e nella ricerca. Ogni volta che ci immergevamo nel coro d’ombra ci rendevamo conto non avessimo tutti gli strumenti per capire cosa fosse successo e per validare tutte le testimonianze che stavamo studiando. Quindi, siamo partiti chiedendo a uno studio specializzato nella realizzazione di modellini di crearne uno in scala, basandoci su tutte le informazioni di nostro possesso in quel momento, che erano le foto della scena scattate la sera stessa e le immagini della Rai del giorno dopo. Abbiamo acquistato una foto satellitare dell’aeronautica, di quello stesso anno, così che potesse diventare un vero banco di prova per validare o meno tutte le testimonianze. Poi, ci si è resi conto che ‘la scala’ che ti dava questo volo d’uccello, che ti permetteva di collocare geograficamente tutte le testimonianze, non era più sufficiente a capire la dinamica di quello che le persone che erano lì hanno raccontato. Lì abbiamo scelto una compagnia teatrale che usa il metodo Strasberg: non volevamo una rappresentazione macchiettistica e la sceneggiatura era assolutamente quello che veniva riportato nelle testimonianze e in documenti. Quindi, abbiamo usato quella come sceneggiatura, abbiamo fatto uno spoglio: la cosa difficile da rappresentare, perché queste testimonianze sono frammentate e contraddittorie, era decidere di non colmare quei vuoti. Così facendo, si sono enfatizzate ancor di più le discrepanze, le incongruenze di alcune testimonianze. Il risultato finale è anche un’ottima rappresentazione filmica per lo spettatore, molto ingaggiante e molto coinvolgente”
Nella docuserie, non c’è retorica del martire, nessuna indulgenza nel pietismo. Solo il coraggio di guardare in faccia una verità scomoda: quella di un ragazzo ucciso due volte – dalla mano che l’ha soffocato e da una narrazione che ha preferito dimenticare. Ma il cono d’ombra, oggi, è attraversato da una lama di luce.
Donata Bergamini, la sorella, già colonna della serie e nella vita reale, dal vivo racconta in particolare chi fosse Denis, dichiarando subito che “la cosa che mi fa più male – e mi ha sempre fatto veramente arrabbiare – è che fosse una verità visibile da subito ma che qualcuno non ha voluto vedere, questo è un dolore grandissimo. Da subito, abbiamo avuto la fortuna che comunque papà guidasse i camion, quindi anche solo nella dinamica descritta, sul fatto del trascinamento, papà sapeva non potesse essere così, perché era un esperto. Come abbiamo visto Denis, dal suo viso, dalle sue gambe, non poteva essere quello che ci hanno raccontato; e, per come ci hanno trattato, da subito abbiamo capito che comunque c’era qualcuno che metteva un muro. Cosa ci faceva la Internò lì? Da subito, abbiamo capito che tutto ciò che aveva raccontato non era vero e questo è stato dimostrato. Spero che la giustizia non impieghi altrettanti anni per chiudere altri cerchi. Ho lottato, all’inizio insieme a papà finché ha potuto: ovviamente adesso aspettiamo, vediamo cosa succederà, ma l’unica persona che finora ha fatto il carcere sono stata io, per 35 anni, quindi un’innocente”.
Trincia correda il discorso riflettendo sulla tesi del suicidio, o meglio sulla dinamica descritta, parlando anche della figura centrale di Isabella Internò e dei suoi silenzi. La sua premessa è che “il tema del suicidio è un tema che conosco per averlo trattato in altri casi, però ovviamente la cosa che senti sempre dire quando una persona si toglie la vita è ‘ma non aveva niente’, ‘ma stava bene’, ‘ma non ci siamo accorti’. Per noi, in realtà, il tema non era quello, perché Denis Bergamini – ed è dimostrato – stava bene in quei giorni, era motivato, aveva dei progetti, spingeva i compagni ad allenarsi per il giorno dopo, per la partita, sembrava felice, lo aveva detto anche in un’intervista, infatti a interessarci più del suicidio è stata la dinamica descritta, perché tu puoi anche pensare che una persona, a un certo punto, per quanto improbabile in quello scenario, decida di togliersi la vita all’improvviso, che abbia nascosto bene il suo malessere, però noi siamo sempre rimasti molto attaccati alla scienza e alla fisica in questo caso, perché è la fisica a dirti che lui non si è suicidato e non si è suicidato in quel modo; noi siamo sempre rimasti fedeli a quello, siamo sempre rimasti dentro al cono d’ombra, tutto quello che c’era fuori lo abbiamo preso con un po’ di quella diffidenza che è giusto avere”.
Ancora Trincia, su Internò in questo passaggio, racconta di ricordare di essere stato: “molto colpito perché c’erano parecchie parti in cui Isabella Internò parlava, ed era evidente si contraddicesse rispetto alle dichiarazioni che aveva fatto un anno e mezzo prima. Ma nessuno le dice niente, nessuno glielo contesta; io, quasi battevo i pugni sul tavolo e dicevo: ‘ma lei non ha detto questo, lei aveva detto un’altra cosa’, finché, a un certo punto, arriva un avvocato che decide di metterla alle corde, infatti parlandone con Debora e Paolo ci siamo detti: ‘bene, noi dobbiamo utilizzare queste parole come traccia, proprio per mettere in scena questo cono d’ombra, dobbiamo – come dicevo prima – utilizzare questi audio come guida e poi costruirci sopra un racconto. La psicologia della testimonianza è qualcosa che conosco abbastanza bene ma sentendo questo racconto lei, tutto fatto in due minuti, tre al massimo, con pochissime frasi, in cui non spiega niente, non c’è un virgolettato, non c’è una frase, non c’è uno sguardo, niente, allora è evidente che sembri un racconto costruito, minimalista, quasi come per fare meno danni possibili”.
La docuserie Sky Original è disponibile in onda il 27 e 28 giugno su Sky TG24, Sky Crime, Sky Documentaries, Sky Sport e in streaming su NOW e On Demand: il racconto si dimostra capace di unire l’urgenza dell’inchiesta alla profondità di una riflessione sul potere, sulla verità, sull’oblio: Trincia non esclude – in un futuro prossimo – di integrare la serie attuale con un episodio ulteriore, semmai approfondendo alcuni contatti che si sono mossi di recente, a seguito della produzione.
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