Il colore della libertà


Il colore della libertàLong Walk to Freedom, il lungo cammino verso la libertà, s’intitola l’autobiografia di Nelson Mandela, il leader dell’African National Congress, Premio Nobel per la pace e primo presidente democraticamente eletto del Sudafrica nel ’91. Un uomo che è rimasto in carcere per quasi trent’anni, ha subito umiliazioni e soprusi, la morte “sospetta” di un figlio, l’impossibilità di abbracciare la moglie e persino di scriverle con assiduità, ma non ha mai perso la speranza. “Nessuno nasce con l’odio innato nei confronti di una razza. La gente impara a odiare ma può apprendere anche l’amore, poiché questo è un sentimento assai più naturale del suo opposto”, ha scritto, mentre nel suo primo discorso dopo la liberazione ha incitato alla riconciliazione e all’unità del paese.

La sua storia – una delle vicende più avvincenti e dolorose della politica del Novecento – è ora un film di Bille August, Il colore della libertà-Goodbye Bafana, che prende spunto dalle memorie di una guardia carceraria, James Gregory (Joseph Fiennes), per narrare il singolare rapporto che legò questi due uomini in teoria divisi dall’odio razziale e dalla dottrina dell’apartheid, che esigeva la totale segregazione ed esclusione dei neri come per decreto divino. “Gregory era vittima di condizionamenti sociali che riuscì pian piano a scalfire arrivando a comprendere che quel prigioniero, che lui riteneva un terrorista comunista, era un essere pieno di umanità”, dice l’attore inglese. Che spinge oltre la sua riflessione: “Mandela, quando gli chiedevano come avesse fatto a sopravvivere tutti quegli anni in prigione, rispondeva: sono dovuto rimanere finché non ho liberato i miei carcerieri. In effetti, al di là del paradosso, è vero che tra i detenuti politici, che erano avvocati e intellettuali, e i secondini spesso si stabiliva un rapporto significativo”.

 

Il film, una coproduzione tra Germania, Belgio, Francia, Italia (Fonema e Istituto Luce) e Sudafrica da 12 mln €, esce il 30 marzo in 150 copie, dopo il concorso berlinese, con l’Istituto Luce. “La nuova mission del Luce – spiega l’AD Luciano Sovena – è proprio quella di sostenere, accanto alle opere prime, le grandi produzioni attente a temi sociali, politici e storici”. E il cinema recente guarda spesso al continente africano con film come Hotel Rwanda, The Constant Gardener, Last King of Scotland o Diamanti di sangue. “E’ importante – dice ancora Fiennes – che vengano raccontati con gli occhi dei bianchi gli abusi di potere che sono stati compiuti in Africa. Per l’Occidente è arrivato il momento di cominciare a dare risposte sulla sua ipocrisia e sulle sue responsabilità a proposito di crimini come l’apartheid, che affonda le sue radici nello schiavismo, o come lo sfruttamento di diamanti e petrolio o le speculazioni sull’Aids”. Bille August, che stasera incontrerà il sindaco Veltroni all’anteprima del film, ha raccontato che Mandela, quasi novantenne, non ha visto il film ma ha ricevuto il dvd e probabilmente riuscirà a vederlo. “Il Sudafrica – aggiunge il regista danese – è oggi una democrazia, anche se ancora giovane e vulnerabile, ed è bello vedere bambini neri e bianchi seduti tutti insieme in una scuola, ma è anche difficile credere che una cosa come l’apartheid sia potuta esistere”.

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22 Marzo 2007

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