Trent’anni dopo, i fuorisede più amati del cinema italiano tornano a bussare alla nostra memoria con lo stesso fare da scrocconi sentimentali con cui si aggiravano tra le strade di Firenze nel 1995. I Laureati, il film d’esordio di Leonardo Pieraccioni, compie trent’anni, e l’anniversario è l’occasione perfetta per tornare a quella casa piena di divani sfondati, battute demenziali e illusioni d’amore. Altro che Erasmus: loro erano la generazione dell’università vista dal buco della serratura, quella che studiava poco e fantasticava molto.
Pieraccioni lo racconta con la consueta autoironia: il titolo originale doveva essere “La casa fuori corso”. Sembra un horror, e forse lo era davvero, per gli esami, per il futuro, per quella paura di diventare adulti. Ma poi arrivò il titolo giusto, quello che suona – visto l’andazzo che prende la vita dei protagonisti – come una bugia bianca, uno di quei trucchetti che usi per far felici mamma e papà: “I Laureati”.
Il film uscì con due copie: una a Firenze Sud, una a Firenze Nord. Poi arrivò fino a Pistoia, Arezzo e perfino Livorno. La via del cinema italiano è lastricata di miracoli a basso budget. Ma l’incantesimo funzionò perché era tutto vero: la provincia toscana, l’amicizia cialtrona, la paura di crescere, l’amore che scivola via come il tempo.
E pensare che Pieraccioni, inizialmente, non voleva neppure dirigerlo. Come ha raccontato nella trasmissione A lezione da Leonardo Pieraccioni su Sky, il suo desiderio era solo recitare. Ma fu Vittorio Cecchi Gori a convincerlo, con un consiglio pratico e surreale: “Un regista deve saper fare due cose: l’inquadratura totale e il primo piano”. Così nacque un esordio. E una regia.
Anche il copione ebbe un percorso rocambolesco. Scritto insieme a Giovanni Veronesi, si intitolava inizialmente Quattro pali e una traversa, sperando di attrarre l’attenzione del Cecchi Gori presidente della Fiorentina. Ma fu Rita Rusić, allora moglie del produttore, a leggerlo per prima e ad innamorarsene. Pieraccioni, nel frattempo, si era già impegnato con i fratelli Vanzina per Selvaggi. Ma Carlo Vanzina, con gesto raro e nobilissimo, strappò il contratto pur di permettergli di girare il suo primo film.
E oggi? Che fine avranno fatto quei quattro moschettieri della procrastinazione? Proviamo a immaginarli, 30 anni dopo, con lo stesso affetto con cui si guarda una vecchia foto ingiallita.
Leonardo, dopo il matrimonio naufragato e una vita fatta di tentativi mancati, ha trovato un impiego come formatore aziendale in una compagnia assicurativa. Parla in convention motivazionali di provincia, dove racconta barzellette per sciogliere il ghiaccio e metafore calcistiche per spiegare i mutui. Vive da solo, cucina poco, legge molto. Ha imparato ad ascoltare più che a parlare. Forse è maturato, ma ogni tanto scrive ancora a Letizia, senza mai premere invio.
Rocco, che campava con l’eredità della nonna e faceva il metronotte, è oggi portiere notturno in un hotel tre stelle. È sempre più magro, sempre più malinconico, ma ha trovato una sua serenità nella routine silenziosa delle ore piccole. Tra un check-in tardivo e un caffè solitario, legge saggi filosofici e scrive haiku su scontrini. Di giorno dorme, la sera ascolta il jazz. Ha capito che l’invisibilità può essere un dono.
Bruno, dopo anni di fughe da casa e ambiguità familiari, ha accettato un posto stabile nell’azienda del suocero a Follonica. Si occupa della logistica. Ha smesso di ingarbugliarsi con la cognata e oggi va a pesca la domenica. Si alza presto, indossa camicie ben stirate, compila tabelle Excel con sorprendente zelo. Nessuno gli chiede più che fine abbia fatto la sua laurea. Ma ogni tanto, nel silenzio della pausa pranzo, guarda il mare e ride da solo.
Pino, il cabarettista con il cuore fragile, non è mai diventato famoso. Dopo qualche apparizione in locali di terz’ordine, ha lasciato perdere. Oggi lavora in una cooperativa culturale: porta spettacoli teatrali nelle scuole e legge storie ai bambini nelle biblioteche di quartiere. Ha imparato a stare sul palco senza voler piacere a tutti. E ha lasciato la fidanzata lagnosa. Ora vive con un cane che si chiama Salsiccia e una discreta serenità.
E poi c’è la casa, quella di un tempo, diventata oggi un archivio comunale. I corridoi odorano di carta vecchia e cartelle in sospeso. Nessuno ride più alle tre del mattino, ma a volte qualcuno giura di sentire ancora una risata lontana, come un’eco. Come un ricordo.
Trent’anni dopo, I Laureati è ancora un piccolo monumento all’immaturità come forma d’arte. Un’ode a chi non ha fretta di crescere perché ha capito che la giovinezza, anche quando è imbarazzante, è un bene rifugio. Il film funziona ancora perché non predica, non giudica, non si prende sul serio. È una risata malinconica con vista sul domani.
E se oggi Leonardo Pieraccioni dice che rischiò di non fare il film perché volevano intitolarlo “I Pinguini”, ci viene da ringraziare chi alzò quel giorno gli occhi al cielo e disse: “Facciamo che no”.
In fondo, chi non ha avuto vent’anni fuori corso almeno una volta nella vita? Chi non ha avuto un coinquilino che si dimenticava di pagare la bolletta, ma ti prestava la maglietta per il primo appuntamento?
I Laureati non è solo un film. È quel periodo della vita in cui si studia per un esame e si impara, invece, come si ama, si mente, si ride. E poi si sbaglia, ma sempre in compagnia. E questo, trent’anni dopo, è ancora il vero miracolo del cinema di Pieraccioni: farci sentire a casa, anche quando la casa è fuori sede.
Dietro la macchina da presa, nel 1975, c’era un 27enne alle prime armi ma determinato che, dal romanzo di Peter Benchley, ha diretto un titolo culto: l’epifania del film – con testimonianze da Guillermo del Toro a George Lucas – viene raccontata nel doc Jaws @ 50: The Definitive Inside Story, che National Geographic porta su Disney+
La saga entra ufficialmente negli 'anta'. Mentre Zemeckis & Gale annunciano che non ci sarà mai un altro capitolo, in molti non conoscono l'universo espanso, poco noto nel nostro paese. Scopriamolo insieme
Il film di Ron Howard è ancora uno dei più potenti esempi di cinema storico e spettacolare. Cosa lo rende speciale e 5 curiosità da non perdere: dalla passione di Tom Hanks per lo spazio alle scene girate sulla "Vomit Comet"
Le celebrazioni nascono dalla sinergia tra la direzione Cinema e Serie Tv diretta da Adriano De Maio e 01 Distribution con l’ad Paolo Del Brocco. Tra gli appuntamenti, anche Take25, podcast che fa incontrare content creator e grandi registi