I DOCUMENTARI DI GIANNI CELATI


I documentari di Gianni Celati hanno rappresentato uno dei momenti più alti nell’edizione dell’ultimo Bellaria Film Festival. Purtroppo, lo scrittore, che vive a Chicago, non era presente nella cittadina romagnola. Ad ogni modo le sue tre opere hanno parlato per lui: Strade provinciali dell’anima (1991), Il mondo di Luigi Ghirri (1998) e Visioni di case che crollano–Case sparse (2003), costituiscono il prolungamento ideale dei suoi libri e ribadiscono la ricerca senza fine del senso dell’esistenza umana.
Una ricerca esistenziale che ha per protagonista il Po e la pianura, le case (soprattutto le cascine abbandonate e crollate) e i mutamenti delle abitudini e dei costumi italiani avvenuti nella seconda metà del secolo appena trascorso. Dunque, la compresenza e, al tempo stesso, il dissidio tra la vita naturale e quella artificiale.
Il pullman con a bordo lo scrittore e i suoi amici-collaboratori, che in Strade provinciali dell’anima parte dalla foce del Po, sembra procedere a caso tra i mille sentieri che si diramano seguendo il fiume: dov’è la strada che porta alla verità? E la risposta non arriva o non sembra mai essere quella definitiva.
Lo scrittore osserva le rovine delle case e si chiede continuamente che cosa è accaduto e quando. C’è stato un momento in cui qualcosa stava cambiando ma l’uomo non se ne è accorto. E ora che tutto è già accaduto, cos’altro potrà succedere?
Come nei suoi libri (tra questi citiamo “Narratori delle pianure” e “Verso la foce”), anche nei 3 documentari l’urgenza è quella di capire e vedere oltre quello che sembra essere evidente. Le immagini delle cascine abbandonate mettono l’uomo a confronto con la propria esistenza, fatta di improvvisi cambiamenti, di costruzioni e distruzioni, di stabilità e instabilità. Quello che Celati pervicacemente si chiede se abbiamo la capacità di capire l’importanza di una visione come quella della rovina oppure se tutto ci passa davanti agli occhi in modo indifferente.
Sono 3 film lenti e riflessivi, quasi metafisici, che costringono lo spettatore a meditare non solo su un fatto contingente (i contadini che hanno abbandonato le campagne per emigrare nelle grandi città industriali), ma sulla storia del ’900. Le rovine a cui si allude metaforicamente sono quelle di un secolo nel quale sono sorti i campi di concentramento ed è esplosa la bomba atomica. E il secolo appena cominciato ha già esibito altre rovine: il crollo delle Torri Gemelle. Ogni volta l’uomo è passato attraverso la caduta di se stesso e di ciò che aveva lentamente costruito. Allora, come si sono prodotte veramente quelle macerie? E sarà possibile passarci sopra senza farsi domande e accontentandosi di una semplice e superficiale visione?

autore
09 Giugno 2003

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