Testaccio, cuore di Roma. Qui vive Ottavio, un vecchio usuraio cieco (Felice Andreasi).
Possiede una preziosa collazione di disegni di Marteen Van Hemskerk, pittore del 500 e affitta appartamenti del suo palazzo a persone che gli tornano utili nella vita quotidiana. Da un poliziotto, l’ispettore Natali (Francesco Colella), che veglia sul suo tesoro segreto, ad un architetto (Alessandro Zama), figlio del suo avvocato e, soprattutto tre anziane donne (Marina Mantovani, Zoe Incrocci e Leila Durante), versione romana degli angeli neri di Arsenico e vecchi merletti, che lo accudiscono.
Tutti mettono gli occhi sul suo tesoro ma l’arrivo di Clara (Ana Valeria Dini), nipote di Ottavio ostacola i loro piani.
E’ la storia di La collezione invisibile, il giallo scritto, diretto e prodotto dall’esordiente 42enne Gianfranco Isernia, cultore del maestro del genere Alfred Hitchcock .
A fare da supervisori allo script, vincitore del premio produzione del “Rendez Vous Sceneggiatura”, promosso tra il 1996 e il 1997 a Lugano dalla fondazione svizzera Focal e dalla Televisione Svizzera Italiana, due mostri sacri del cinema italiano: Suso Cecchi D’Amico e Age.
Prodotto dalla Imbarco per Citera, cooperativa fondata nell’89 dallo stesso Isernia insieme ad altri diplomati alla SNC, con il sostegno del Dipartimento dello spettacolo e distribuito dalla Thule, il film uscirà il 14 giugno in 25 copie a Roma, Napoli e Torino.
Da dove viene il tuo amore per il giallo?
Da lontano, ha radici quasi ancestrali. Mia madre leggeva solo gialli, mio padre era un giallo vivente e io sono cresciuto in un ambiente fitto di misteri, proprio come l’Italia.
Nel film ci sono numerosi omaggi a Hitchcock e la storia ricorda quella dello spagnolo “La comunidad”…
Da Hitchcock ho saccheggiato a piene mani, La comunidad l’ho visto dopo aver scritto la mia sceneggiatura e trovo che le idee di base siano molto diverse. Piuttosto, quando ho visto Amélie di Jeunet ho pensato che avrei voluto girare il mio film così. Si tratta di una sintonia solo formale ovviamente che riguarda l’uso dei bracci mobili. All’inizio volevo che la macchina da presa volasse da una finestra all’altra ma ho rinunciato perché costava troppo. Il tema centrale è la rapacità umana, l’ossessione per i soldi. E il finale è intriso di sano moralismo: i cattivi perdono e l’unico buono vince.
E’ stato difficile fare il produttore e il regista insieme?
Si. E’ stata un esperienza schizofrenica. Ma, dopo aver cercato inutilmente un produttore, ho capito che era l’unico modo per realizzare un progetto che è costato 3 miliardi e 200 milioni. Ci ho messo ben 5 anni: la prima sceneggiatura è stata rivista dall’americano James Nathan della Ucla e poi da Suso Cecchi D’Amico e Age. Invece i tempi per le riprese sono stati brevi: solo 8 settimane e poi circa 6 mesi passati in sala montaggio.
Perché hai scelto di ambientarlo nel quartiere romano di Testaccio?
Perché ci vivo dal 1989 e ancora oggi a volte mi sento uno straniero. Lì si conoscono tutti, ci sono vincoli di parentela e intrecci di relazioni anche se ora il quartiere si sta svuotando degli abitanti originari con l’arrivo di classi sociali più abbienti. I personaggi del film esistono davvero: ogni giorno vedo anziane che sorseggiano cappuccini sedute al bar e il viavai del mercato. Il personaggio dell’usuraio è ispirato a un vecchio di 85 anni, mio dirimpettaio, che usciva di casa ogni mattina e faceva cinque piani di scale. La collezione invisibile nasce dall’osservazione quotidiana, da sguardi indiscreti nell’intimità altrui. Nel corso delle riprese ho catturato molte di queste persone, molti lo sanno e sono ansiosi di vedersi sullo schermo. Purtroppo alcuni sono stati tagliati e ora temo rappresaglie.
Nel cast ci sono tre attrici anziane…
Si. Io le chiamo le mie ragazze: hanno un’esperienza straordinaria alle spalle ma hanno accettato la scommessa di farsi dirigere da un esordiente.
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