Sono passati sei anni da Voci nel tempo. Franco Piavoli aveva presentato il film nel 1996 al Festival di Venezia. Oggi va a Locarno, per la seconda volta dopo Nostos, con Al primo soffio di vento: un quadro di famiglia, come lo definisce il regista bresciano. “Ho indugiato molto sui movimenti minimi del volto e dell’espressione corporea. Ho girato il film a casa mia, di cui conosco tutti i giri di soli e lune. Ho potuto sfruttare ogni fonte di luce naturale”, racconta. La lavorazione è durata tre anni: “Ho dei tempi lunghi perché per comunicare al pubblico devo elaborare molto il linguaggio delle immagini”. Poche parole dunque, una sceneggiatura di una pagina e mezza per un filmato di sei rulli. La precedente pellicola, Voci nel tempo, è ancora nelle sale tedesche grazie alla Kairos Film. “Lo proiettano senza sottotitoli. I miei film non hanno bisogno di essere tradotti”.
Cosa succede… “al primo soffio di vento”?
Una donna si ritira nelle sue stanze private dopo essersi sentita trascurata dal marito. L’uomo si è rifiutato di accompagnarla in una passeggiata e in lei inizia ad affiorare nella memoria il primo incontro con il suo uomo. Ricorda l’immobilità dei corpi, nessuna parola e poi, ‘un soffio di vento’. Arriva l’agitazione, l’amore.
Antonio, il protagonista maschile, cosa fa invece di passeggiare con la moglie?
Studia, esplora il mondo degli insetti e scopre che, secondo le teorie del riduzionismo scientifico, gli esseri umani sono allo stesso tempo parenti e diversi. Ed è questa infinita variazione degli stessi geni che provoca la diversità.
E la solitudine?
Sì, naturalmente. L’occhio maschile cerca di guardare quello femminile. Per contrappunto si vedono fuori dalla casa contadini africani. Vivono in difficoltà, ma la sera dopo il lavoro esprimono una grande vitalità.
La fotografia come racconta queste due realtà?
Ho usato la luce naturale sia per gli interni che per gli esterni. Chiamavo il cast in momenti diversi della giornata a seconda del punto della casa in cui dovevo eseguire il ciak. La storia si svolge in un pomeriggio, scivola nel tramonto e termina con un lungo sguardo verso le stelle del firmamento.
E la colonna sonora?
E’ interna alla diegesi del racconto filmico. La figlia maggiore dei due è una studiosa appassionata del pianoforte. Si sentono alcuni pezzi eseguiti da lei e tratti da autori musicali dell’inizio del secolo scorso: Fauré, Ravel, Satie, Poulenc.
Lei collabora da anni con sua moglie, Neria, e ora con suo figlio Mario. Come fa?
E’ difficile e bello. Neria ha curato i costumi e la sceneggiatura, Mario invece mi ha aiutato con il montaggio. Giriamo sulla base del trattamento poi montiamo. Dal montaggio capiamo se dobbiamo girare altre scene e ricominciamo. Lavorando e vivendo sotto lo stesso tetto certe volte possiamo arrivare alla saturazione, allora mia moglie si ritira nelle sue stanze e per una settimana non ci vediamo. Neria si allontana spesso. Per fortuna la casa è grande. Al primo soffio di vento in parte è autobiografico. Mi identifico con Antonio, mi arrovello nelle sue letture, testi di filosofia della scienza, e come lui penso che il riduzionismo scientifico non fa altro che ripetere in qualche modo quello che diceva Foscolo: “questa bella d’erbe famiglia e d’animali”. La somiglianza e l’infinita diversificazione degli eventi naturali fa sì che ognuno di noi sia unico, e solo.
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