Francesco Nuti: l’insostenibile leggerezza dell’essere comico

Un ricordo affettuoso e malinconico dell'attore e regista che il 17 maggio 2025 avrebbe compiuto 70 anni


C’è sempre stata una nota malinconica, appena accennata, nel sorriso di Francesco Nuti. Una traccia che non si riesce mai a cancellare, nemmeno nei suoi momenti di massima leggerezza. Nuti era così: comico e crepuscolare, gioioso e fragile, luminoso e oscuro. Se fosse una canzone, sarebbe una serenata stonata sotto un balcone che si affaccia su un campo da biliardo.

Quel biliardo che non era solo un vezzo narrativo, ma un’estensione del suo modo di stare al mondo, fatto di traiettorie imprevedibili, colpi di genio e rimbalzi inattesi. Una figura unica nel panorama cinematografico italiano. Inclassificabile, spesso spiazzante, ha attraversato il cinema come una cometa dalla luce vivissima

Il 17 maggio avrebbe compiuto 70 anni. E viene spontaneo immaginarlo oggi con lo sguardo di sempre, ironico e sghembo, seduto a un tavolino qualunque, con un bicchiere davanti e la battuta pronta, a raccontare una delle sue storie che sapevano far ridere anche quando stringevano il cuore.

Madonna che debutto c’è stasera!

Nato a Prato nel 1955, Francesco Nuti si fa notare fin dagli anni Settanta con i Giancattivi, accanto a Alessandro Benvenuti e Athina Cenci. Il trio cavalca l’onda della nuova comicità toscana, irriverente e colta, che riempie i teatri e conquista la televisione con programmi come Non stop e Black Out, contribuendo a definire un nuovo modo di far ridere, più surreale e quotidiano. Ma è con l’abbandono del gruppo nel 1981 e il debutto da solista che Nuti mostra la sua cifra autentica: una commedia venata di romanticismo, slapstick, tenerezza e alienazione.

La sua prima prova da protagonista, Madonna che silenzio c’è stasera, è un piccolo caso cinematografico. In quel personaggio spaesato e poetico, che si muove tra bar, periferie e sogni impossibili, c’è già tutto il suo mondo: il dialetto pratese come melodia dell’anima, il corpo come veicolo espressivo, lo sguardo disarmato di chi cerca amore e trova equivoci.

Nutitudine

Con Io, Chiara e lo Scuro (1982), diretto da Maurizio Ponzi, Nuti ottiene un clamoroso successo di pubblico. Il film, incentrato sul biliardo come metafora dell’esistenza e dell’amore, impone il suo stile: personaggi buffi ma autentici, situazioni grottesche, una comicità che affonda le radici nel quotidiano e nelle piccole ossessioni.

Con Casablanca, Casablanca (1985), Tutta colpa del paradiso (1985), Stregati (1987) e Caruso Pascoski (di padre polacco) (1988), Francesco diventa un punto di riferimento del cinema italiano degli anni Ottanta. La sua cifra è riconoscibile: la voce roca e trattenuta, la goffaggine tenera, il disincanto che non sconfina mai nel cinismo.

La cosiddetta “nutitudine” si definisce proprio in questi anni: un universo dove convivono romanticismo e insicurezza, slanci e timidezze, il bisogno disperato d’amore e il terrore di non essere all’altezza.

Occhio Nuti!

Il passaggio alla regia è una conseguenza logica, quasi inevitabile, della sua urgenza espressiva. Nuti dirige se stesso con una libertà e una coerenza che riflettono il suo desiderio di raccontare un mondo interiore, fatto di fragilità, illusioni, slanci sentimentali. Ma la sua traiettoria professionale, dopo i fasti degli anni Ottanta, si complica: rifiuta compromessi, si isola, segue strade creative spesso incomprese dal grande pubblico.

I film degli anni Novanta, come Il signor Quindicipalle e OcchioPinocchio, segnano un momento delicato della carriera di Francesco Nuti. Il successo commerciale vacilla, ma resta evidente la coerenza con una poetica personale, lontana dalle mode e refrattaria alle formule vincenti. In OcchioPinocchio (1994), forse il suo lavoro più radicale, Nuti abbandona ogni riferimento realistico e costruisce una favola ambiziosa, visionaria, che rilegge la storia di Pinocchio in chiave esistenziale. Il film, imperfetto e coraggioso, fu accolto freddamente dalla critica e dal pubblico, ma oggi viene rivalutato come testimonianza estrema della sua volontà di sperimentare, di inventare un linguaggio proprio, anche a costo dell’isolamento. È il gesto di un artista che, pur sapendo di rischiare l’incomprensione, non rinuncia a cercare un senso attraverso le immagini.

La cometa continua a brillare

La sua vita personale ha seguito un tracciato spezzato, proprio come quelle traiettorie di biliardo che tanto amava. Dopo la vertigine del successo, è arrivata una discesa silenziosa e ripida: la depressione, i disordini familiari, l’alcol, e infine quel tragico incidente del 2006 che lo ha costretto al silenzio e all’immobilità. Il suo corpo si è fermato, ma la sua presenza è rimasta viva nel ricordo collettivo, come la scia persistente di una cometa che ha attraversato il cielo con troppa intensità per durare a lungo. Francesco non è stato dimenticato. È rimasto nel cuore del suo pubblico con la delicatezza che si riserva a chi si è mostrato senza difese, a chi ha brillato troppo e troppo presto, lasciandoci a guardare il buio con gli occhi pieni di luce.

“La creatività è l’arma segreta per affrontare le difficoltà della vita”. Questa è una sua frase, un suo grido di battaglia. Chi può dire se l’ha persa o l’ha vinta quella battaglia. Di certo lascia in eredità una decina di film da regista e una quindicina da attore. Non molti, ma carichi di un’identità precisa. E poi premi, affetti, e una scia di sogni interrotti, che fanno ancora più luce sulla sua ombra.

Negli ultimi anni, la sorella Annamaria è stata la sua voce, il suo scudo. E a ogni anniversario, a ogni omaggio, Francesco sembrava riemergere per un attimo, vivo, ironico, intatto. Perché Nuti non è stato solo un attore, un regista, un comico. È un sentimento. Un’emozione legata a una stagione del cinema italiano in cui si poteva ancora credere che la malinconia fosse una forma di speranza.

Settant’anni dopo il suo primo respiro, Francesco Nuti continua a farci ridere e commuovere. Con un sorriso dolce, un po’ sghembo. E con quella sua inconfondibile voce, che sapeva trasformare la tristezza in una canzone d’amore.

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17 Maggio 2025

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