Elisa Amoruso: “così ho diretto tre episodi di un crime in Scozia”

La regista ha diretto tre episodi della serie crime britannica Dept. Q, distribuita su Netflix a partire dal 29 maggio


Elisa Amoruso ha diretto tre episodi della serie crime britannica Dept. Q – Sezione casi irrisolti, distribuita su Netflix a partire dal 29 maggio.

La serie, basata sui romanzi dello scrittore danese Jussi Adler-Olsen, è ambientata a Edimburgo e segue le indagini di una squadra dedicata ai casi irrisolti. Amoruso ha diretto gli episodi 3, 4 e 5 della prima stagione, contribuendo significativamente alla narrazione e allo sviluppo dei personaggi.

La sua partecipazione rappresenta un’importante incursione nel genere del thriller investigativo internazionale, arricchendo la serie con la sua sensibilità registica già apprezzata in opere precedenti come Maledetta primavera e The Good Mothers. Questa esperienza evidenzia la sua capacità di adattarsi a contesti narrativi diversi, portando una prospettiva unica alla rappresentazione di storie complesse e profonde.

Lei ha iniziato con il documentario. Com’è andato poi il percorso che l’ha portata qui?

Il mio primo lavoro, Fuori strada, parlava di un meccanico e pilota di rally che ha deciso di diventare donna. Ero molto appassionata alla vicenda, ma sono diventata regista solo perché lei, Beatrice, mi ha detto che lo avrebbe fatto solo con me al timone. E’ stato il mio battesimo, mi ha “costretta”, e da allora, da sceneggiatrice che ero, la mia strada si è trasformata. Ho anche capito che in fondo era divertente stare così vicino ai personaggi, e non solo lasciarli chiacchierare nella mia testa.

Poi sono arrivate le esperienze di fiction…

A partire da Maledetta primavera, con Emma Fasano e Micaela Ramazzotti. Era autobiografico, parlava della storia mia e della mia famiglia. Poi The Good Mothers, grazie a Wildside e Disney Italia, prodotta insieme agli UK. Parlava delle donne, spesso rimaste uccise, che denunciano i mariti che operano nella Ndrangheta. Comunque  un modo per omaggiarle e dar loro dignità. Con la serie è arrivato l’Orso d’oro a Berlino, il che mi ha resa popolare nel Regno Unito.

Ed è così che arriviamo a Dept. Q

Esatto. Il primo colloquio l’ho avuto con Scott Frank, sceneggiatore USA importantissimo e riconosciuto “script doctor”. Abbiamo subito capito che parlavamo la stessa lingua, in termini di approfondimento dei personaggi, comprensione della drammaturgia, costruzione della trama. La prima impressione era quella giusta. Dopo qualche giorno mi hanno richiamata confermandomi che avevo il lavoro.

Che differenze ci sono tra il lavoro nel doc e quello nella fiction?

Fatico a inventare del tutto una storia, parto sempre da un fatto reale, da qualcosa che potrebbe riguardarmi. Poi certo, ci sono licenze poetiche e cambiamenti che si possono applicare, la straordinaria capacità degli attori, sono così bravi e talentuosi che spesso danno un gran contributo a tratteggiare personaggi realistici, quando lo spunto viene del reale. Insomma, nel mio lavoro i due aspetti si sono sempre sfiorati, anche nel film che sto facendo ora, in fase di post-produzione.

Di che parla? Chi sono gli interpreti?

Si intitola Amata, con Tecla Insolia, Miriam Leone e Stefano Accorsi. Parla, anche qui partendo dalla cronaca, di una donna di Milano che partorisce una bambina nel totale anonimato. E quindi delle sorti del bambino e di sua madre, una riflessione sull’identità femminile, oltre che sulla maternità.

Parliamo invece delle differenze tra lavorare in Italia e in UK…

La prima è che in Italia il regista è un autore intoccabile, viene molto lasciato libero, nel bene e nel male, fa da solo le sue scelte. Nel Regno Unito il produttore creativo ti segue in continuazione, è una figura cruciale, sul set non ero mai sola, però non era male. Mi faceva sentire parte di una squadra con il senso di un lavoro organizzato e collettivo. Inoltre, da noi i set sono molto rumorosi. Lì c’è un silenzio di tomba.

Nessun problema, quindi? 

No, a parte fare l’abitudine allo scozzese, che è un’altra lingua rispetto all’inglese. Davvero, all’inizio non capivo nulla, e ho dovuto dirigere così gli attori. Ero l’unica italiana rispetto a una pittrice di scena. Pochi giorni fa mi ha chiamata… ha visto il cartellone pubblicitario della serie nel mezzo di Edimburgo. Una bella soddisfazione. Comunque, alla première di Londra capivo perfettamente tutti… ma ormai ero abituata all’accento scottish!

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04 Giugno 2025

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