Esce il 15 aprile in 350 copie con Medusa, sfidando Nanni Moretti e il cartone in 3D Rio, Se sei così ti dico sì, la commedia amara di Eugenio Cappuccio con Emilio Solfrizzi e Belén Rodriguez. Nessuna paura della concorrenza per il produttore Antonio Avati, che scherzando conia uno slogan – “Habemus Belén” – per questo film scritto, sulla scorta di una sua idea, da Claudio Piersanti e dal regista, in collaborazione con Guia Soncini.
Per la showgirl argentina, che nel film vedremo in una azzeccata versione con i capelli alla maschietta, è un ulteriore passo nella costruzione della sua carriera mediatica. “Recitare è stato un cammino difficile, ma step by step e senza saltare nessun gradino sto andando avanti. Così, per il personaggio di Talita Cortès non mi accontentavo di ispirarmi a Paris Hilton, come all’inizio mi avevano suggerito produttore e regista, e ho cercato di tirare fuori una sensibilità diversa, anche se lei è più cinica di me”. Molto bella e anche generosamente spogliata, ma senza mai fare sesso, anche se, tra le molte scene tagliate, c’era quella di un bacio con Emilio Solfrizzi, alias Piero Cicala. E’ lui il grande protagonista di questa resurrezione di un uomo ridicolo. A vederlo, dimesso e triste, nel ristorante della ex moglie (Iaia Forte), non immagineresti che ha vissuto uno straordinario successo nel lontano 1981 con la classica hit balnerare da un milione di copie. Personaggio strappato alla realtà quotidiana di uno show business minore, fatto di impresari squali e squallide serate nelle balere. Infatti, per l’attore pugliese, reso famoso da Tutti pazzi per amore, più che un modello cinematografico (primo fra tutti L’uomo in più di Paolo Sorrentino con Toni Servillo) è stata fondamentale l’osservazione minuziosa di tanti “vinti” dello spettacolo locale, “di quando giravo la Puglia e la Basilicata per le piazze e i cabaret”.
Solfrizzi, che per il ruolo è ingrassato otto chili e si è sottoposto a tre ore al giorno di trucco, per trasformarsi in un ultracinquantenne appesantito, gonfio e stempiato, “Piero Cicala è un uomo che viene dalla sconfitta, ma che è riuscito a reagire e non si è lasciato vincere dal cinismo del mondo dello spettacolo. Quando gli propongono di partecipare a un programma tv di quelli costruiti sul revival, accetta di tornare a mascherarsi, affronta le proprie paure e le vince”.
Rispolverato il completo vintage decorato da centinaia di bottoni di madreperla, estrosa creazione di un sarto paesano, Cicala parte per Roma e il caso lo fa diventare “amico” della top model internazionale Talita Cortès, un’improbabile relazione indecifrabile che l’accanito giornalista di gossip (Roberto De Francesco) trasforma subito in flirt da dare in pasto ai rotocalchi.
Per Eugenio Cappuccio – che ha girato con la nuova tecnologia Canon 7D – è stato naturale entrare nel progetto degli Avati, un film all’americana, in cui un regista s’innamora dell’idea di un produttore. “Del resto, a parte Il caricatore, che è stata una sorta di autobiografia a tre, gli altri miei film erano tratti da storie scritte da altri. E poi Pupi è un autore che ho sempre amato, perché racconta l’uomo messo alle strette che ritrova una piccola forza”.
Una storia di riscatto che si muove dall’Italia di provincia (Savelletri di Fasano) al Texas, dove Talita trascina Piero come regalo di compleanno. Dice ancora Cappuccio, che viene da Latina e ha iniziato all’ombra di un grande provinciale come Fellini e guarda caso nella satira Ginger e Fred: “In provincia il terrore di non avere successo è pari alla paura di tornare a casa avendo ottenuto qualcosa di più degli altri”. Un paradosso che mette in moto la curiosità dell’intero paese, riunito davanti alla tv per godersi la rentrée (e magari la debacle) di Piero, che canterà come si deve la sua hit balneare “Io, te e il mare”, ma porta nel cuore un’altra canzone, più romantica e sofferta che nessuno vuole, “Amami di più”. “Lì – spiega Solfrizzi – si nasconde il segreto del film. Non si cade mai da soli, cadono anche quelli che hanno investito su di te, che non ti perdoneranno l’insuccesso. Da Cicala tutti voglio qualcosa: il sindaco, l’amico che scrisse con lui le canzoni e non ebbe lo stesso successo, l’ex moglie che non vuole tornare a perderlo, il ragazzo giovane che cerca uno stimolo a non fuggire”.
Sarà il clima di questo film non consolatorio, anzi che ti mette addosso un disagio strisciante, ma anche la superdiva Belén, a sorpresa, rivela qualche sua fragilità: “Sono tre anni che vado avanti così, ma certe volte, quando finisci una diretta e hai ancora l’adrenalina a mille, torni a casa e ti senti sola. In tv devi essere sempre sorridente e frizzante, mantenere lo stesso umore per forza. Sono sempre in ritardo, non ho mai tempo di fare niente e invece avrei voglia di essere mamma, mia madre mi ha partorito che ne aveva 21, io ne ho già 26. Però voglio anche fare una carriera seria e quando mi guardo il lato B sotto i riflettori impietosi dei camerini, penso che devo fare palestra, sennò il palazzo crolla”. Ma lei non si sente come Talita. “Io ascolto e guardo negli occhi, ho rispetto per gli altri. Lei è frivola, dispettosa, si infila nella stanza di Cicala senza chiedere il permesso, risulta arrogante e superba, e questo è il peccato più grande. Io sono diversa: non ci crederete ma ho un cuore ed è più grande del lato B”.
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