Cannes. Cinecittà Luce ha acquistato i diritti del documentario di Jafar Panahi e Mojtaba Mirtahmasb This is not a film presentato a Cannes fuori concorso come evento speciale e che racconta la vita di Panahi a Teheran in attesa della sentenza d’appello contro la condanna a 6 anni di carcere e 20 di interdizione dal mestiere di regista.
“Il film è uscito clandestinamente dall’Iran, non è nel catalogo ufficiale del Festival. Noi lo abbiamo acquisito sin dal primo momento che abbiamo saputo che sarebbe stato presentato a Cannes – dichiara l’AD Luciano Sovena – Dal giorno del suo arresto ci siamo impegnati alla Mostra di Venezia, insieme ad Articolo 21, nella campagna di solidarietà con Panahi per la sua libertà, campagna culminata con una grande iniziativa al cinema Barberini con la proiezione del suo film Il cerchio, vincitore del Leone d’Oro a Venezia nel 2000. Un serata che ha visto la presenza di numerosi uomini di cultura e del cinema tra cui Bernardo Bertolucci che ha letto in quell’occasione un messaggio del regista iraniano. This is not a film ci mostra Panahi in libertà vigilata e rappresenta un documento straordinario di quello che sta vivendo – conclude Sovena – Parte dei ricavati andrà, tramite un ‘corridoio’, direttamente al cineasta a cui è stato proibito dalle autorità iraniane di lavorare”. Sovena ricorda una frase emblematica di Panahi una volta uscito dal carcere: “Sono uscito da una piccola prigione per entrare in una più grande, l’Iran”. E l’AD di Cinecittà Luce anticipa l’intenzione di portare il documentario alla Mostra di Venezia, che ne ospiterà una proiezione alla sala Darsena.
Il film uscito clandestinamente dall’Iran grazie a una chiavetta USB, che sarà mostrata domani sera alla proiezione ufficiale, mostra scene di vita quotidiana di Panahi nella sua casa di Teheran, a cominciare dalle telefonate con il suo avvocato. E mostra anche come e dove il regista immagina di girare il film che gli è stato proibito di continuare e portare a termine, dopo aver filmato un terzo del suo progetto.
This is not a film porta anche la firma di Mojataba Mirtahmasb che per anni è stato presidente dell’Associazione dei documentaristi iraniani ed è famoso per un’opera sulle donne cui è vietato di cantare da solisti.
“Io e Jafar Abbiamo lavorato come due musicisti che si siedono e cominciano a improvvisare. Da tempo avevo intenzione di girare un documentario su un film che non ha ottenuto l’autorizzazione dal governo di essere realizzato. Così abbiamo fatto come i parrucchieri che, quando non hanno i clienti, si aggiustano l’un l’altro i capelli”. Il documentario è stato girato in 10 giorni ed è costato 3200 euro. “Vogliamo dimostrare che tra il film su ordinazione o il divieto di esprimersi con la propria opera, esiste una terza via: fare film ugualmente. Quando non è possibile orientare la cinepresa fuori, rivolgiamola verso noi stessi,che riflettiamo quello che accade nella società”.
Del resto in Iran quando si vuole girare un film ci si imbatte con la burocrazia: sei sono le autorizzazioni di volta in volta da richiedere, dal consenso del Ministero dell’orientamento islamico al progetto, fino a quello della proiezione. Così i registi spesso cominciano la lavorazione senza permessi o con alcuni di essi come è accaduto per Rasoulof con Arrivederci visto qui a Cannes.
E proprio a Rasoulof, altro regista condannato, è stato ieri concesso il permesso di viaggiare all’estero. Come interpretare quelloo che pare un segnale di apertura da parte di Ahmadinejad? “Il passaporto non gli è stato consegnato, per ora è una promessa”, risponde Hammad Rafat di Articolo 21. Speriamo che venga mantenuta. Nel frattempo la pressione del mondo culturale e artistico sul regime islamico non va allentata.
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