Sta per arrivare nelle sale Jurassic World: La Rinascita, e tra le tante attese – dinosauri più grandi, più intelligenti, più aggressivi – ce n’è una che ha già catturato l’immaginario dei fan: il Distortus rex. Sei arti (un look quasi insettoide) proporzioni disturbanti, comportamento imprevedibile.
Un mix tra Godzilla, uno Xenomorfo di Alien e il Rancor di Star Wars. Una creatura nata da esperimenti genetici estremi, che sembra uscita da un incubo e promette di essere l’antagonista più inquietante mai visto nella saga. E ovviamente, nessuna corrispondenza con un dinosauro realmente esistito.
Le sue action figure saranno vendutissime, immaginiamo, anche se quelli che preferiscono i dino “classici” storcono il naso.
Eppure, a ben guardare, il Distortus non è poi così fuori posto. Da oltre trent’anni, l’universo di Jurassic Park si basa sull’idea che la natura non venga semplicemente ricreata, ma reinventata in laboratorio. Tutti i dinosauri della saga sono, di fatto, costruzioni genetiche: ibridi più o meno fedeli all’originale, nati dal DNA preistorico estratto da zanzare fossilizzate e ricomposto con materiale moderno – rane, seppie, rettili, uccelli.
Riflettiamoci: oggi è risaputo – meno ai tempi del romanzo di Crichton e del film di Spielberg – che molti grandi rettili avevano le piume, compresi i più minacciosi.
Ora immaginate il T-Rex che insegue la jeep come in una delle scene più iconiche e spaventose del film e copritelo di penne colorate… l’effetto non è molto horror. Dunque non solo vien da immaginare che, se anche avesse saputo, Spielberg avrebbe comunque preferito una visione tradizionale, anche se meno scientificamente accurata, ma probabilmente gli stessi scienziati del Jurassic Park si sarebbero adoprate per eliminare geneticamente il piumaggio, per rendere l’esperienza più spettacolare e meno risibile per gli eventuali visitatori.
Ed è solo un esempio. Dei dinosauri conosciamo la struttura ossea, deduciamo il resto… ma ovviamente, nessun essere umano era lì, durante il giurassico, per poter testimoniare come realmente apparissero. Ergo: i dino del Jurassic Parkk sono tutte ricostruzioni, più o meno evidenti, più o meno attinenti al “reale”, ma mai precisissime.
Pensiamo ai progetti mai realizzati come gli ibridi uomo-dinosauro (visibili tra i contenuti speciali del DVD di Jurassic Park III), che confermano che l’universo narrativo è da sempre aperto a esplorare i confini del DNA.
Fin dal primo film, i paleontologi hanno storto il naso davanti a Velociraptor giganti, Brachiosauri troppo lenti e Tyrannosauri che inseguono Jeep a tutta velocità. Ma non è mai stato un errore: era la trama stessa a dire – in maniera indiretta – che quei dinosauri erano modificati. Anche perché, probabilmente, se così non fosse stato, non avrebbero potuto sopravvivere all’atmosfera dell’epoca moderna, e i loro sistemi immunitari sarebbero del tutto impreparati ai virus, batteri e funghi che popolano l’aria oggi.
“Riempivamo le sequenze mancanti con il DNA di rana”, spiegava il dottor Wu nel 1993. Da lì, il passo verso creature sempre più lontane dalla paleontologia era solo questione di tempo.
Con Jurassic World (2015), però, la saga si libera di un certo obbligo a tributare il “realismo” e abbraccia già apertamente la fantascienza: nasce l’Indominus rex, un mix genetico tra T-Rex, Velociraptor, seppia e chissà cos’altro, capace di mimetizzarsi e ragionare come un predatore strategico. Lo seguono l’Indoraptor in Il regno distrutto, progettato come arma vivente, e lo Scorpius rex, esperimento instabile e velenoso introdotto nella serie animata Camp Cretaceous.
La svolta più sorprendente arriva con Maisie Lockwood, la bambina clonata con DNA di dinosauro. Presentata anche lei ne Il regno distrutto, Maisie diventa il simbolo dell’incontro definitivo tra genetica umana e animale. Non solo un clone umano: è il primo ibrido umano-preistorico della saga – a riprendere il concept scartato per Jurassic Park III, anche se Maise appare come una normale graziosa bimba della sua età – e il suo destino è strettamente legato a quello delle creature del parco.
In questo contesto, l’arrivo del Distortus rex non rappresenta una rottura, ma una naturale evoluzione, così come i Mutadon, nuove creature ibride tra dinosauri terrestri e volanti,
In fondo, la vera domanda che la saga pone non è “come erano davvero i dinosauri?”, ma “fino a che punto possiamo spingerci nel crearli?”. E se il Distortus è l’ultimo (per ora) esperimento, il viaggio cominciato con una zanzara in ambra è tutt’altro che terminato.
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