Denys Arcand, Medioevo slapstick


Comincia quasi come un film di fantascienza, con i giornali radio che parlano di un’epidemia che sta mietendo vittime in tutto il Canada e la gente che cammina per strada con la mascherina sulla bocca. Ma è tutto vero. Stiamo parlando di L’age des ténèbres, il film di Denys Arcand che Cannes ha scelto come conclusione di questa sessantesima edizione. Già vincitore del premio per la sceneggiatura quattro anni fa, il regista canadese ha portato fuori concorso una farsa sociale con spunti di commedia slapstick inserti di lirica e momenti di umorismo nero che apre, ancora una volta, uno squarcio desolante sulla “civiltà” americana. Tuttavia resta molto al di sotto delle aspettative il terzo capitolo della trilogia iniziata con Il declino dell’impero americano (1986) e proseguita con Le invasioni barbariche (2003), film molto amato dal pubblico e arrivato anche all’Oscar. La storia è quella di Jean-Marc, un oscuro funzionario statale di mezza età totalmente insoddisfatto della sua esistenza piatta e immutabile. Svolge un lavoro praticamente inutile (deve ascoltare le lamentele dei cittadini, ma non ha mai una risposta positiva da dare), per arrivare in ufficio impiega almeno un’ora e mezza usando auto, treno e metropolitana. La moglie, agente immobiliare in carriera, non lo degna neppure di uno sguardo, le due figlie adolescenti sono perennemente incollate all’I-pod. Non ha amici e, più in generale, il Québec è dominato da regole e regolamenti invadenti e assurdi: non si può fumare neanche all’aperto e il semplice uso della parola “negro”, dichiarata una “non-parola” dall’Ufficio della lingua francese, può comportare guai seri. Ingabbiato in questa realtà da incubo, Jean-Marc non trova di meglio che evadere in un mondo di fantasia, alimentando i suoi sogni di gloria. Immagina di avere un idillio con la star del cinema Diane Kruger (l’attrice tedesca che sarà madrina della serata conclusiva, domenica), visualizza atroci vendette contro l’acida e inflessibile capufficio, si pensa intervistato dalla tv e invitato nei talk show, è un candidato alle elezioni osannato dalla folla. “La prima idea del film – racconta Arcand – mi è venuta durante il lungo tour di promozione per Le invasioni barbariche, quando passavo da un aereo a uno studio televisivo e non ne potevo più. E’ stato allora che mi sono chiesto se magari qualcun altro, al posto mio, potesse essere felice di tanta attenzione mediatica”. Arcand, che ha sempre considerato il Medioevo alle porte e la borghesia nordamericana come una classe di barbari, ha voluto stavolta rendere ancora più esplicita la sua metafora catastrofista: così Jean-Marc, a forza di sognare, finisce per davvero in un gioco di ruolo dove tutti sono vestiti da cavalieri e damigelle e si comportano come tali. Ma Arcand non nasconde il suo scetticismo: “I problemi che la gente deve affrontare sono enormi, dall’inquinamento alla burocrazia al crollo dei matrimoni, ma scappare nel Medioevo non serve a molto, perché in quell’epoca l’unico a vivere bene era il re. Per tutti gli altri era comunque un inferno”.

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25 Maggio 2007

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