‘Death Stranding’, nella visione cinematografica di Hideo Kojima

In vista dell'uscita di 'Death Stranding 2: On the Beach' e dell'adattamento filmico in sviluppo, andiamo alla scoperta dell'opera più personale di uno dei maestri dell'arte videoludica


Mancano poche ore e gli appassionati di tutto il mondo potranno mettere le mani su uno dei più attesi sequel videoludici degli ultimi anni: Death Stranding 2: On the Beach. Quasi sei anni dopo l’uscita sul PlayStation 4, il videogioco che ha segnato il grande ritorno di Hideo Kojima è considerato ancora una delle opere più coraggiose e originali di sempre, capace di mettere l’autorialità di fronte alla commerciabilità. Cosa rara nel mondo dei videogames, dove i guadagni possono essere altissimi, ma dove lo sono anche i costi di sviluppo e i rischi produttivi.

Il sequel promette di alzare ancora di più l’asticella, soprattutto in quelle caratteristiche che rendono unico lo stile dell’autore giapponese, diventato celebre negli anni ‘90 per avere creato l’iconica saga di Metal Gear Solid, regalandoci un personaggio come Solid Snake e reinventando il genere stealth. L’impianto narrativo cinematografico, la cura per la scrittura dei personaggi e dell’ambientazione, nonché l’incapacità di accontentarsi di un gameplay riconducibile ad altri giochi preesistenti, infatti, faranno ancora parte di On the Beach.

In particolare Kojima punterà ancora su un cast che farebbe invidia a qualsiasi produzione hollywoodiana: con Elle Fanning, Alastair Duncan, Alissa Jung, Debra Wilson e Luca Marinelli che si aggiungono ai protagonisti originali Norman Reedus e Léa Seydoux. Se ricordiamo gli altri nomi che impreziosivano il primo capitolo – Mads Mikkelsen, Margaret Qualley, e i cineasti Guillermo del Toro e Nicolas Winding Refn – è chiaro quanto sia stata forte la volontà dell’autore di dare alla sua nuova saga un taglio cinematografico, che avrà un suo inevitabile sbocco nell’adattamento filmico in arrivo nel 2027. Il lungometraggio sarà diretto da Michael Sarnoski, già autore di Pig, A Quiet Place – Giorno 1 e del Death of Robin Hood con Hugh Jackman e Jodie Comer di prossimo uscita.

In attesa di scoprire cosa ci riserva questo ambizioso sequel e di avere nuovi dettagli sul film, ripercorriamo le ragioni che rendono Death Stranding un’opera unica nel panorama videoludico.

Una nuova visione post-apocalittica

Ciò che ha affascinato i videogiocatori di tutto il mondo fin dalle prime immagini rivelate di Death Stranding è la sua peculiare ambientazione post-apocalittica, un genere abusato di questi tempi, ma che Kojima ha saputo proporre in un modo mai visto prima. In particolare, il contesto del gioco si contraddistingue per una grande e intricata mole di dettagli, che vengono rivelati pian piano nello scorrere della storia. Ci troviamo in un futuro remoto, dove gli Stati Uniti d’America sono stati resi irriconoscibili da un evento apocalittico chiamato Death Streanding, che ha connesso il mondo dei vivi a quello dei morti. Manifestazioni di questo evento sono le Creature Arenate (CA), malevoli entità provenienti dall’aldilà, la Cronopioggia, una pioggia che accelera a dismisura l’invecchiamento di qualsiasi essere vivente, e le voragini, esplosioni mortali generate dal ricongiungimento di cadavere con la sua anima. Per rifugiarsi da tutto ciò, la popolazione si è rifugiata in delle colonie ipertecnologiche e isolate, chiamate Nodi. Gli unici in grado di muoversi tra le brulle e pericolosissime praterie degli USA sono i corrieri della Bridges, che coi loro viaggi in solitaria connettono ciò che resta dell’umanità.

Norman Reedus interpreta uno di questi corrieri, Sam Porter Bridges, che viene incaricato di riconnettere le città della UCA (United Cities of America) e salvare sua sorella Amelie. Per riuscirci sarà aiutato dalla corriera Fragile (Léa Seydoux) e da un “Bridge Baby“, un bambino prematuro che deve portare sempre con sé perché, riflettendo uno stato tra la vita e la morte, è in grado di fargli percepire la minaccia delle Creature Arenate, altrimenti invisibili.

Ciò che lo spettatore si trova davanti, insomma, è un mondo complesso, ricco di fascino e suggestioni, di orrori e di poesia, dove le regole sono tutte da scoprire. Mettendo in scena la sua grande visione della vita e della morte, Kojima, a suo modo, ci racconta dell’importanza della connessione tra gli esseri umani, l’unica speranza in ogni tipo di cataclisma.

Il coraggio di essere divisivo

Nonostante delle premesse così potenzialmente spettacolari, Kojima ha voluto spingere anche sul versante del gameplay, rischiando inevitabilmente di risultare ostico per gran parte del pubblico. Buona parte del gioco, infatti, ci vede impiegati in quello che i detrattori hanno definito ironicamente un “Amazon simulator”: in quanto corriere le missioni di Sam riguardano principalmente portare oggetti da un posto all’altro nel modo più veloce e sicuro possibile.

In sostanza, un aspetto del gioco che in molti “open world” è considerato secondario – ovvero lo spostamento da un luogo all’altro – in Death Stranding diventa la parte cruciale del gameplay, grazie a una complessa strutturazione del territorio, degli oggetti e dei mezzi di trasporto. Per la prima volta il cuore di un gioco non è la meta, ma il viaggio, letteralmente. A tutto ciò si aggiunge un originale multiplayer asincrono che permette ai giocatori di comunicare tra di loro e di condividere informazioni e oggetti, facendo risuonare i temi del gioco.

Al netto delle non poche sequenze action, Kojima ha avuto il coraggio di prendere il tema della connessione e renderlo palpabile attraverso la modalità di gioco, a rischio di essere – o sembrare – meno intrattenente. Una scelta che non è piaciuta a molti, portando sul titolo una evidente spaccatura da parte della critica e, soprattutto, del pubblico. Una condizione che non dispiace allo sviluppatore giapponese, che, addirittura, di fronte alle prime reazioni troppo entusiastiche rispetto al sequel di prossima uscita, avrebbe effettuato delle modifiche per renderlo un’esperienza più equilibrata ed emozionalmente complessa.

Rischi e potenzialità dell’adattamento

“Sono un fan estremo di Kojima, penso che sia un grande artista, è un regista di videogiochi” così ha dichiarato Luca Marinelli, che in On the Beach indosserà una bandana che omaggia l’iconico personaggio di Solid Snake. Da sempre interessato allo storytelling piuttosto che agli aspetti ludici, Kojima ha fatto lo stesso con la sua ultima opera. Death Stranding è, infatti, un gioco squisitamente narrativo, con una schiera di personaggi carismatici, e impreziosito da un’ambientazione sci-fi visivamente perfetta per essere portata sul grande schermo.

Questo non vuol dire che il film in sviluppo non sia privo di rischi e trappole per il regista e i produttori coinvolti, tutt’altro. La narrazione del gioco è sovrabbondante di elementi, a tratti contorta, e, indubbiamente, andrà sfoltita e trattata con la massima cura per risultare appetibile a un pubblico vasto. Questa sarà una condizione necessaria in quanto Death Stranding, per le sue caratteristiche intrinseche, non potrà che essere un blockbuster dai costi spropositati.

Una schiera di fan e di curiosi non attende altro di sapere come il progetto sarà portato avanti. Nel frattempo non resta che buttarsi su Death Stranding 2: On the Beach per tornare a vivere nell’affascinante mondo post-apocalittico, infarcito di mostri e pulsante di umanità, targato Hideo Kojima.

autore
21 Giugno 2025

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