Pochi autori nella storia del cinema ne hanno influenzato così tanto il linguaggio da diventare un aggettivo: David Lynch è tra questi. Il termine “lynchiano” (lynchian) è stato inserito nell’Oxford English Dictionary nel 2018 per far riferimento a tutte quelle opere d’arte o situazioni reali che si possono ricondurre all’opera del grande cineasta appena scomparso. Uno stile difficile da definire, che fonde surrealismo e onirismo, e che fa riferimento a qualsiasi elemento straniante, inquietante o in qualche modo dissonante con la realtà. L’unico modo per capire davvero lo stile che ha caratterizzato David Lynch, però, è andare alla scoperta, o alla riscoperta, della sua monumentale carriera cinematografica, senza dimenticare l’apporto che l’artista ha dato anche al mondo della pittura e della musica.
In una filmografia in cui anche i flop più grandi, come il Dune del 1984, assurgono allo status di cult, è difficile indicare quelli che più meritano di essere considerati i pilastri del suo cinema. Prima di rivelare la nostra personale top 5, non possiamo non ricordare tra i tanti capolavori “lynchiani” la commedia romantica a tinte noir Cuore selvaggio, a cui nel 1990 la giuria di Cannes presieduta da Bernardo Bertolucci assegnò la Palma d’oro, o il toccante film biografico Una storia vera, che ci porta in viaggio per un’America desolata a bordo di un lento trattore.
Non possiamo non iniziare questa classifica quello che è forse il più grande successo commerciale di David Lynch, che lanciò la sua carriera a livello internazionale, così come quella degli interpreti Anthony Hopkins e John Hurt. Ispirato a una storia vera e fotografato in uno splendido bianco e nero, il film del 1980 è uno di quelli che meglio mette lo stile lynchiano a servizio della narrazione, portandoci alla scoperta della triste storia di John Merrick e della sua malformazione fisica che lo rese celebre come l’Uomo Elefante. The Elephant Man ricevette otto nomination agli Oscar, senza tuttavia vincerne nessuno, non senza polemiche. “Da qui a dieci anni Gente comune sarà la risposta a un gioco di società; ma la gente andrà ancora a vedere The Elephant Man”: commentò Mel Brooks in riferimento all’assegnazione del premio come Miglior film all’opera prima di Robert Redford.
Se The Elephant Man rese Lynch una star, la sua opera prima Eraserhead ne fu il degno predecessore. Considerato uno dei debutti più rilevanti della storia del cinema, Eraserhead è un’opera che ancora oggi non può lasciare indifferenti per la sua carica allegorica e disturbante. Nonostante sia stato girato in maniera indipendente con un budget di appena 100mila dollari, il film divenne un instant cult, incassando oltre 7 milioni solo negli Stati Uniti. Caratterizzato da terrificanti effetti speciali e da un sound design che fece storia, il film è una collezione di situazioni grottesche e orrorifiche che capitano al pacifico e passivo protagonista Henry, sfiorando tematiche come l’alienazione identitaria e sessuale. L’influenza culturale di Eraserhead fu immediata: lo stesso Stanley Kubrick, all’epoca già un gigante del cinema, lo considerava uno dei suoi film preferiti, tanto da proiettarlo in continuazione durante le riprese di Shining, per creare la giusta atmosfera all’interno della troupe e del cast.
Dopo le critiche ricevute per l’insuccesso commerciale di Dune, David Lynch tornò nel porto sicuro del suo stile più puro, dando vita nel 1984 a Velluto Blu (Blue Velevet), una delle pietre miliari del suo cinema. Praticamente tutto ciò che poi divenne caratteristico della visione artistica di Lynch nei decenni a seguire si può ritrovare all’interno di quest’opera complessa e stratificata: la rivisitazione in chiave grottesca del genere del poliziesco, la critica a ciò che di torbido si nasconde sotto la superficie delle nostre vite borghesi, la fusione di sogno e realtà. Prodotto e distribuito da Dino De Laurentis, il film lanciò la carriera di Isabella Rossellini e confermò la collaborazione con Kyle MacLachlan, che tornerà anche nel prossimo titolo della lista.
“Chi ha ucciso Laura Palmer?” Basterebbe questa iconica citazione per sottolineare l’importanza de I segreti di Twin Peaks (Twin Peaks) nella storia dell’audiovisivo. La serie uscita nel 1990 mostrò come fosse possibile portare sul piccolo schermo la visione di un autore cinematografico. Una prospettiva che soltanto negli ultimi anni è stata del tutto sdoganata. La serie fu subito accolta come un successo, ma fu l’influenza su praticamente tutte le serie televisive di stampo thriller, horror e poliziesco a venire che ne decretò il riconoscimento come opera di culto. Una rilevanza indiscussa che portò nel 2017, 25 anni dopo la fine della seconda stagione, a un’acclamata terza stagione, che ci diede l’opportunità di godere dell’ultima opera di Lynch, l’unica realizzata nell’ultimo ventennio.
Ma il film che unanimemente viene considerato il capolavoro di David Lynch, l’opera che più di tutte può essere descritta come un sunto della sua visione del mondo e del cinema, è Mulholland Drive. Criptico e aperto alle interpretazioni, il film del 2001 è un thriller psicologico che ha come protagonista Naomi Watts nei panni di una donna che deve ricostruire ciò che l’ha condotta a un incidente d’auto sulla celebre Mulholland Drive di Hollywood. L’amnesia di cui soffre permette a Lynch di costruire una trama ermetica e complessa che ancora fa discutere gli appassionati di tutti il mondo. Vincitore dei premi per la miglior regia a Cannes e nominato agli Oscar, il film è stato eletto come il migliore del XXI secolo attraverso un sondaggio della BBC. Una pietra miliare da vedere e rivedere per cogliere tutte le intriganti e sfaccettate sfumature che il genio di David Lynch ha saputo inserire al suo interno.
In occasione dell'uscita in Austria dell'ultimo film del regista italiano, sarà proposta al pubblico viennese una selezione dei suoi più recenti titoli
Al regista sarà assegnato il riconoscimento in occasione della XV Florence Biennale - Mostra internazionale d'arte contemporanea e design
Intervista ai registi de Il mio giardino persiano, presentato in anteprima al Festival di Berlino e nei cinema italiani dal 23 gennaio con Academy Two
"Siamo arrivati a New York e stiamo bene" ha dichiarato la regista, che ha dovuto interrompere la promozione di Vermiglio in California a causa degli incendi