C’è una statuetta dorata, ispirata a una scultura bronzea di metà ‘400, ospitata al Museo del Bargello di Firenze, che dal 1956 scandisce il ritmo della Settima Arte italiana, premiando il genio, il mestiere, talvolta il coraggio. Il David di Donatello non è solo l’Oscar nostrano, ma è lo specchio, spesso sfaccettato, del cinema italiano. Un Premio nato tra le luci di Via Veneto e l’artigianato colto delle botteghe romane, sapendo costruire nel tempo un pantheon di volti, parole e controversie, cresciuto tra le sale del Quirinale e Cinecittà – sede che nella serata corrente, 7 maggio 2025, ospita la 70ma edizione della manifestazione, dedicando un riconoscimento speciale a Giuseppe Tornatore.
In principio, fu una creatura di Paolo Grassi e Italo Gemini (esercente e presidente AGIS), nutrita dall’entusiasmo del Club Internazionale del Cinema. La prima edizione, quasi raccolta in un salotto, si tenne al Cinema Fiamma della Capitale, il 5 luglio del ‘56.
Nel tempo di sette decenni di Storia del Premio si sono scritti, inseguiti, inanellati, sussurrati, commentati, aneddoti, curiosità, ombre e imprevisti, tra cui i David “fuori cornice”: accanto ai premi canonici, negli anni si sono moltiplicati i riconoscimenti speciali, a volte inattesi, altre volte oggetto di vivaci discussioni, come nel 1986, quando Gina Lollobrigida ricevette un David Speciale non per una performance, ma per il suo statuto iconico, per la “bellezza e l’influenza sull’immaginario collettivo” o, come nel ‘95, quando un commosso omaggio postumo a Massimo Troisi trasformò la serata in un rito collettivo di lutto e gratitudine.
Per molto tempo la cerimonia ha oscillato tra fasti estivi e solennità istituzionali: Taormina, l’Opera di Roma, il Quirinale. Prima dell’era televisiva era un evento poco patinato, dove non mancavano silenzi eloquenti e presenze rumorosamente assenti: Pasolini, ad esempio, ritirò il premio per Il Decameron nel ‘72 con uno sguardo obliquo e parole taglienti: “la degenerazione dello spettacolo”, dichiarò pesando ogni sillaba, più precisamente affermando: “Il mio cinema non è fatto per essere premiato, ma per essere visto e discusso”, così, accettando con freddezza il premio, volle denunciare pubblicamente l’ipocrisia del mondo cinematografico istituzionale.
E, naturalmente, oltre a quella di PPP, nella Storia del David ci sono frasi che hanno davvero fatto epoca: talvolta, dal palco sono state pronunciate parole che hanno superato la cornice del Premio, diventando tracce di un pensiero sul cinema, sulla vita, sull’arte. Si ricordi Roberto Benigni (1998), dopo il trionfo de La vita è bella, che incantò la platea con un discorso poetico e affettuoso: “Dedico questo David a mia madre, che ha creduto in me anche quando facevo ridere solo il gatto.”
Prima di lui, ci fu Elio Petri che, nel ’71, durante il discorso per il David vinto con Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto, ribadì il ruolo civile del cinema, in un periodo di forte tensione sociale: “La politica è già nel modo in cui si inquadra un volto”.
Ancora, Paolo Sorrentino, nel ricevere il Premio per la sceneggiatura di È stata la mano di Dio, sintetizzò in una frase l’essenza del suo racconto autobiografico: “Il cinema è il luogo dove gli errori diventano stile, e il dolore diventa bellezza”.
E poi c’è colei che più di tutti è stata premiata, Sophia Loren, di cui – in particolare – si ricorda quando nel ’91, accogliendo il suo ennesimo riconoscimento, si commosse ricordando gli inizi della sua carriera e il legame profondo con il pubblico italiano: “Ogni volta che ricevo un David, mi sembra di tornare a casa”. Nessuno ha conquistato più David di lei, “regina” con 7 statuette da protagonista.
E – a proposito di assoluti – nessun film ha lasciato un’impronta più profonda de La vita è bella, che nel 1998 ne collezionò 9; Benigni, sempre lui, già nel ‘91 trasformò la consegna del premio per Johnny Stecchino in una performance surreale, baciando uno a uno i giurati — funzionari RAI inclusi. Un gesto d’amore, o forse d’anarchia.
Nel grande album dei David non mancano le pagine bianche: Michelangelo Antonioni, monumento del nostro cinema, fu premiato una sola volta. Matteo Garrone, spesso acclamato dalla critica, fatica ancora a diventare un volto da “copertina”. Eppure, proprio i David più “laterali” — come il David Giovani — hanno spesso intercettato sensibilità nuove, premiando film capaci di raccontare il Paese con sguardo fresco.
Il David ha saputo anche guardare oltre i confini: ha celebrato con riconoscenza maestri internazionali come Coppola, Scorsese, Streep, Pacino, Hoffman. Nel 2001, Dustin Hoffman, quando ricevette la statuetta dalle mani di Monica Bellucci, si sciolse in lacrime, con il pubblico, in piedi, commosso, a creare una delle immagini più tenaci nella memoria cinematografica collettiva.
Dietro le quinte dorate, il David ha conosciuto anche momenti controversi, opachi, talvolta scomodi. Non sono mancati esclusioni clamorose e premi che sembravano compromessi. Insomma, anche un premio solenne e istituzionale come il David di Donatello non è stato immune da critiche, scandali e momenti imbarazzanti: dietro l’eleganza della cerimonia, alcuni episodi hanno fatto discutere il pubblico e l’ambiente cinematografico. Ecco così il 1981 e il “caso” de La terrazza: il film di Ettore Scola vinse il David per il Miglior Film, ma suscitò clamore il mancato riconoscimento a Ugo Tognazzi; il Premio andò invece a Vittorio Gassman per La tragedia di un uomo ridicolo, ritenuto da molti critici una scelta “politica” più che artistica. Le polemiche accesero i dibattiti sul favoritismo e sull’opacità del sistema di votazione.
Nel ’90, Il male oscuro di Mario Monicelli vinse come Miglior Film, ma lasciò perplessi molti addetti ai lavori: in corsa c’era Palombella rossa di Nanni Moretti, considerato un film di rottura, così la decisione fu letta come un segnale di conservatorismo da parte dell’Accademia.
Nel 2004, poi, La meglio gioventù di Marco Tullio Giordana fu escluso dalla categoria principale perché originariamente pensato come fiction tv. Nonostante il successo in sala e a Cannes (Premio Un Certain Regard), fu relegato a un David Speciale. Molti registi e critici parlarono di “miopia istituzionale” e sollevarono dubbi sulla rigidità del regolamento.
Il Divo di Paolo Sorrentino nel 2009 ottenne ben 7 David, ma scatenò malumori politici per il ritratto controverso di Giulio Andreotti. Il clima politico influenzò anche la comunicazione del Premio, con polemiche sulla libertà artistica e sul ruolo della televisione pubblica nella promozione del cinema d’autore.
Dopo otto anni, nel 2017, La pazza gioia di Paolo Virzì è stato snobbato nelle categorie principali, nonostante il grande successo di critica e pubblico: molti considerarono l’esclusione una forma di sottovalutazione del cinema popolare “d’autore” e in sua difesa intervennero anche registi e intellettuali, tra cui Cristina Comencini e Silvio Soldini.
E poi c’è stato il David della pandemia, nel 2020: a causa del COVID-19, l’edizione si svolse in forma ridotta e virtuale. La vittoria di Il traditore di Bellocchio fu accolta con favore, ma il dibattito si concentrò sull’efficacia di una cerimonia digitale e sulla tenuta del sistema distributivo: la mancanza di film “veri” in sala mise a nudo la fragilità del cinema italiano in tempi di crisi.
Passano due anni, ed ecco nel 2022 la polemica sulla regia di È stata la mano di Dio: nonostante il film di Paolo Sorrentino ricevesse numerose candidature, il premio per la Regia andò a Gabriele Mainetti per Freaks Out. La scelta spaccò la critica tra chi premiava l’innovazione visiva e chi considerava Sorrentino il vero autore di spicco della stagione. L’episodio rilanciò il dibattito tra cinema popolare e cinema d’autore.
Ci sono, poi, quelle storie che non finiscono nelle cronache ufficiali, ma che fanno la sostanza stessa del mito. Ecco così i retroscena e le vicende dietro le quinte come quella di Totò e il David “negato”, infatti De Curtis non ricevette mai un David in vita, solo nel 1997 gli fu assegnato un David Speciale postumo, consegnato alla figlia Liliana. Pare che Alberto Sordi, presente in sala, si alzò in piedi senza attendere l’applauso ufficiale, in un gesto di rispetto che commosse tutti.
Ancora, ecco Gassman e Tognazzi e la loro rivalità elegante. Si racconta che, negli Anni ’70, quando appunto il primo vinse un David e Tognazzi no, i due si incontrarono a cena e Gassman ironizzò: “Il tuo problema è che fai ridere anche quando vuoi far piangere”. E l’altro rispose: “E tu piangi anche quando dovresti ridere”. Erano rivali, ma profondamente amici.
C’è poi stata anche una statuetta dimenticata, quella che nel 1989 Giancarlo Giannini vinse, senza essere presente alla cerimonia. Il Premio fisico rimase nel camerino di un presentatore per mesi, fino a quando fu recapitata per errore a un altro attore omonimo.
Ed ecco la “protesta muta” di Moretti, quando nel 1994, escluso da tutte le nomination con Caro diario, si presentò comunque alla cerimonia: seduto in ultima fila, applaudì tutti i vincitori senza mai parlare con la stampa. Solo due anni dopo tornò a essere premiato.
Infine, nel 2000, Isabella Rossellini, presidente di Giuria, fu vista commuoversi durante il discorso di un giovane autore emergente, Giuseppe Piccioni: dopo la cerimonia, gli scrisse una lettera privata per incoraggiarlo a continuare, oggi conservata negli archivi della Fondazione David.
Intervista a Tecla Insolia, Francesco Gheghi, Andrea Segre, Giuseppe Fiorello, Francesca Comencini, Francesco Costabile, Francesco Di Leva, Celeste Dalla Porta, Lunetta Savino, Valeria Golino, Samuele Carrino, Roberto Proia e Giorgia
Intervista a Lucia Borgonzoni (Sottosegretario alla Cultura), Manuela Cacciamani (AD Cinecittà) e Chiara Sbarigia (Presidente Cinecittà)
I momenti salienti dal tappeto rosso sul set di Roma antica
La regista di Vermiglio, pellicola antimilitarista e vincitrice del David per il miglior film, per la miglior sceneggiatura e molte altre categorie, tiene un incontro con i giornalisti il giorno dopo la premiazione. "Non esistono eroi di guerra - dice - chi fa la guerra diventa stupido"