Ha lasciato il segno con opere quali Il giorno della civetta (1968), L’istruttoria è chiusa: dimentichi! (1971), La Piovra (prima serie, 1984) e L’inchiesta (1986). Ora, prodotto da Fortuna Films di Barcelona, esce il suo nuovo film Assassini nei giorni di festa, realizzato anche con il sostegno del Dipartimento dello Spettacolo.
Damiano Damiani ha ambientato questa commedia grottesca nell’Argentina del 1955. Storia di una compagnia teatrale di attori senza successo che si ritrovano a un funerale, spicca fra i suoi personaggi ambiguamente eccentrici la spagnola Carmen Maura. Scritto da Giampaolo Serra e Giovanni Ammendola, è stato presentato in anteprima mondiale a Viareggio nel corso di EuropaCinema dove il regista ha ricevuto un “Federico Fellini 8½ Platinum Award”. E dove ci ha raccontato del suo cinema e dei suoi progetti futuri.
Damiani, il suo cinema ha partecipato dell’impegno politico degli anni ’70…
Direi della cultura di un momento civile del nostro paese e quindi anche la politica, ma non solo. Credo di avere detto qualche cosa nel campo culturale della nostra società, preoccupandomi sempre di indicare le idee di ordine democratico. Poi ho fatto anche cose che non sono dedicate alla vita collettiva, ma di ordine privato, sulla psicologia e i problemi personali.
Come è stato dirigere Carmen Maura?
Sono stato molto contento di averla con me. Avevamo un dialogo facile fra di noi, non solo perché lei parla un po’ d’italiano e io un po’ lo spagnolo, ma anche per la simpatia reciproca.
Quali sono per un regista come lei i temi da affrontare oggi?
Sono in un momento abbastanza amaro. Non sono sicuro che la razza umana se la caverà perché ha un comportamento che può portare anche alla distruzione.
Pensa già al prossimo film?
Sì, sto pensando alla storia di un giovanissimo dottore che si occupa di bambini poveri in Medio Oriente. Cerca di insegnare, a uno di loro in particolare, gli elementi della morale cristiana: il comandamento “non uccidere”…
Come vede il cinema italiano oggi?
Il cinema non è abbastanza aiutato. Non è mai stato amato dai governi per la funzione critica che svolge. Ma, nonostante questo, ho fiducia. Quello che bisogna fare però è creare una situazione economica che permetta di fare 200-250 film all’anno, come si faceva in altri tempi in Italia. Non bisogna perdere lo slancio che abbiamo avuto.
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