“Promuovere la cultura e l’avvicinamento alle arti non significa soltanto divulgare il sapere e accrescere la conoscenza”. Lo ha dichiarato Lucia Borgonzoni aprendo il convegno La prescrizione dell’arte che cura, promosso e organizzato dallo stesso Sottosegretario alla Cultura per aprire un confronto sulle prospettive future dell’arte come terapia di supporto alle cure mediche e sulle metodologie applicate fino ad ora in Italia e all’estero.
Quattro panel per una panoramica a 360 gradi sul tema, che ha visto avvicendarsi sul palco della Sala della Crociera ospiti di alto profilo in rappresentanza del
mondo della cultura ma anche di quello
medico-scientifico ed economico, circondati
dalla maestosa Biblioteca di archeologia e storia dell’arte del MiC (
il programma completo dei lavori è disponibile a questo link).
Al centro del convegno una riflessione sulla fruizione dell’arte nelle sue molteplici declinazioni, come risorsa da mettere a frutto per accrescere il benessere del singolo individuo o, almeno, per alleviarne le sofferenze. La creatività e la bellezza come strumenti terapeutici di supporto alle cure mediche. Dagli Stati Uniti – dove le prime esperienze risalgono agli anni Cinquanta – all’Europa, passando dalla cosiddetta “Art on Prescription” praticata nel Regno Unito fino al Canada: la mappa delle esperienze che dimostrano gli effetti positivi del binomio cultura e salute tocca varie latitudini e numerose sono le iniziative testate negli ultimi anni anche in Italia, a dimostrazione della crescente sensibilità al tema e della necessità di intervenire secondo una metodologia omogenea e un approccio strutturato e normato a livello centrale.

Il Sottosegretario alla Cultura Lucia Borgonzoni
“Dai livelli di cortisolo ai parametri di salute cardiovascolare, dallo stimolo a vincere la sedentarietà alla spinta a vivere la socialità”, ha continuato il Sottosegretario – “alla luce degli incoraggianti risultati emersi dagli studi condotti finora (su tutti, il Rapporto dell’Organizzazione mondiale della sanità del 2019 che ha preso in esame oltre 900 pubblicazioni, che certifica la solida base di conoscenze ed evidenze del contributo delle arti) per testare l’incidenza della fruizione dell’arte sullo stato psicofisico dei partecipanti – penso, solo a titolo di esempio, alle ricerche che hanno dimostrato l’effetto dell’ascolto della musica, specie quella dal vivo, sui neonati prematuri – ritengo che sia doveroso, tanto più in un Paese come il nostro, che brilla per concentrazione del patrimonio culturale mondiale, avviare come Ministero una collaborazione con un’università italiana, che porti a un’indagine dalla struttura scientifica rigorosa da cui il passaggio da casi di studio condotti a macchia di leopardo a progettualità e politiche sempre più intersettoriali, che portino benefici ai singoli e alla collettività”.
Numerose esperienze, testimonianze, valutazioni e riflessioni sul tema sono state quindi presentate da quindici tra medici e docenti universitari, economisti della cultura e professionisti del settore, creativi inclusi. L’integrazione tra luoghi di cura e arte (dalla musica al cinema, dall’arte visiva ai videogiochi, dalla danza al teatro) è stata infatti illustrata attraverso le attività, gli strumenti, i progetti e gli approcci sperimentati in Italia, ma anche approfondendo evidenze e prove emerse dai casi di studio condotti nel mondo e analizzando le cause profonde che rendono l’arte una risorsa salutogenica, insieme alle motivazioni che ne fanno un utile strumento per accrescere la formazione medica e sanitaria. Si è inoltre parlato di welfare culturale e di prescrizione sociale.
“L’obiettivo, nell’immediato – ha annunciato infine Borgonzoni – è quello di portare in Conferenza Stato-Regioni il testo di un accordo con i musei e i parchi archeologici statali, in virtù del quale i soggetti affetti da patologie neurodegenerative possano visitare gratuitamente questi siti sulla base di una specifica prescrizione medica. Oltre alla collaborazione con un’università italiana, è nostra intenzione mettere a terra un lavoro congiunto con le Regioni e con l’Istat per inserire dieci nuovi quesiti inerenti il benessere di quanti lavorano o frequentano ambienti museali nel censimento dei musei condotto ogni tre anni. Tra le questioni che parimenti meritano di essere affrontate nel prossimo futuro, anche la formazione di personale specializzato nella materia”.
“Cinecittà ha inserito nel suo Piano Industriale 25-29 anche aspetti di carattere sociale, nello specifico quello di far comprendere e stimolare la fruizione del cinema come terapia”, ha dichiarato a margine del convegno l’AD Manuela Cacciamani. “Terapia ovvero mezzo, strumento, che possa consentire a chi è fragile o si trova ad esempio ricoverato per periodi molto lunghi di costruire il proprio immaginario. Immaginario perché il cinema stimola sempre pensieri, fantasie; e culturale, perché consente a chi magari non può lasciare l’ospedale di acquisire informazioni, stimolare i ragionamenti, e di alleggerire la propria giornata. Perché un film nel momento in cui ti consente di immergerti in momenti che possono essere divertenti o anche riflessivi, ti permette anche di staccare dalla tua condizione di malattia. Ad esempio ci sono due sale cinematografiche in Italia, costruite una all’interno del Policlinico Gemelli di Roma e una al Niguarda di Milano con una Fondazione impegnata proprio su questo, Medicinema, che si sono organizzate all’interno dell’ospedale grazie alla collaborazione di medici e infermieri: qui grazie ai distributori, soprattutto le major, vengono proiettati film in contemporanea con quelli appena usciti al cinema, e i pazienti vi vengono accompagnati con dei turni regolari. Spesso parliamo di film per bambini, o di animazione, che li fanno ridere, che gli consentono di passare del tempo al di fuori della routine ospedaliera. Cinecittà intende organizzare alcuni eventi divulgativi su questo tema, e soprattutto stiamo producendo un documentario, che sarà pronto alla fine del 2025”. (gp)