Prima di debuttare nel lungometraggio con Isola, la 30enne Costanza Quatriglio presenta un curriculum quantomeno anomalo: borsa di studio che le consente di frequentare la Scuola nazionale di cinema; qualche cortometraggio narrativo; poi 5 documentari. Curriculum anomalo, poiché l’iter comune ai giovani registi italiani prevede il salto diretto dal cortometraggio al lungometraggio a soggetto.
Il documentario non usa più, a meno che il giovane voglia legare il suo futuro alle inchieste televisive. Oggi la fretta di debuttare nel lungometraggio di finzione è tale da ravvisare nel cortometraggio narrativo la migliore e più sbrigativa pedana di lancio. Qualcuno, per non perdere tempo, fa ancora prima: allunga uno dei suoi cortometraggi e lo porta alla misura standard del film adatto alle sale. Talvolta il marchingegno riesce; altre volte no.
Intanto il documentario, quello di 10 minuti, che un tempo si chiamava complemento di programma e veniva messo in “borderò” insieme al cinegiornale con un obbligo di proiettarlo che – sia detto tra parentesi – l’esercente si guardava bene dal rispettare, preferendo sostituirlo con una ulteriore dose di ben retribuita pubblicità; il documentario, dicevo, è scomparso dagli schermi.
Scomparso, mi sembra, anche dalle provvidenze di legge, ciò che ha provocato a suo tempo la reazione di quei pochi che vorrebbero ancora praticarlo. Ecco perché il curriculum della Quatriglio va considerato a dir poco un’eccezione: una benvenuta eccezione, poiché l’eccellente riuscita della sua opera prima dimostra che l’attività documentaristica non impedisce affatto il buon esito del passaggio diretto al lungometraggio di finzione.
Del resto, basta riattivare la memoria sul passato del cinema italiano, per rendersi conto che non si tratta di una scoperta. A cominciare da Antonioni quanti sono i cineasti di fama, nati documentaristi? Ne cito alcuni: Emmer, Comencini, Dino e Nelo Risi, Giulio Questi, Gillo Pontecorvo, Florestano Vancini, Gian Vittorio Baldi, Raffaele Andreassi, Vittorio De Seta, i fratelli Taviani insieme a Valentino Orsini, Citto Maselli, Ermanno Olmi. Alcuni di loro, passando al lungometraggio di finzione, hanno evidenziato a chiare lettere la loro origine. Penso a Il tempo si è fermato di Olmi, a Luciano di Baldi a Banditi a Orgosolo di De Seta, a L’amore povero (I piaceri proibiti) di Andreassi. Tutti registi i cui documentari erano fatti di immagini che diventano esse stesse una storia. Costanza Quatriglio sembra l’erede di quella generazione, che oseremmo definire perduta.
Diamole la possibilità di crescere ancora.
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