BELLARIA – Presentato in anteprima mondiale al Bellaria Film Festival 2025 nella sezione competitiva Gabbiano, Così com’è di Antonello Scarpelli è un’opera che scava con delicatezza nelle pieghe di un dramma familiare, dove il non detto diventa più potente delle parole. Il film, in uscita nelle sale italiane dal 29 maggio grazie ad Albolina Film, con la collaborazione di Cineclub Internazionale Cinema Italiano Indie e con il supporto della Calabria Film Commission, racconta una storia di distanze emotive e geografiche, intrecciando il calore della Calabria ai paesaggi freddi della Germania. Dopo Tarda Estate, Scarpelli conferma la sua capacità di raccontare l’imperfezione umana con sincerità.
Al centro della narrazione c’è Emilia, impiegata comunale calabrese, la cui vita viene sconvolta dalla diagnosi di Alzheimer del marito. La coppia decide di raggiungere il figlio Antonello in Germania per affrontare, o forse evitare, una conversazione sulla malattia. Scarpelli, che firma regia, sceneggiatura e interpreta il figlio, costruisce un racconto intimo, privo di retorica, che si muove tra primissimi piani e ampi paesaggi, trasformando i luoghi fisici in metafore delle distanze dell’anima. La fotografia di Stefania Bona e il montaggio di Pierpaolo Filomeno creano una grammatica visiva che non spiega, ma accompagna, lasciando che i silenzi parlino.
Così com’è non è solo un film sulla malattia, ma sulla paura di nominarla. La diagnosi di Alzheimer rimane un segreto taciuto, non per negazione, ma per un istinto di protezione che si trasforma in isolamento. Emilia e il marito si aggrappano a dettagli quotidiani – ricordi, domande su amici comuni – per sfuggire alla verità. Scarpelli esplora l’evitamento psicologico creando una tensione emotiva che permea ogni scena. I personaggi ripetono di stare bene, che “va tutto a posto”, ma non è vero e il peso del non detto cresce di scena in scena.
Girato tra Celico, terra d’origine del regista, e la Germania, dove Scarpelli ha studiato, il film si nutre di contrasti: vicinanza e distanza, memoria e oblio, presenza e assenza. I paesaggi calabresi, caldi e familiari, si alternano a quelli tedeschi, freddi e impersonali, mentre la domanda di Emilia – “In che parte della città ci troviamo?” – diventa un grido di spaesamento esistenziale: dove siamo quando non ci riconosciamo più nelle relazioni o nelle scelte?
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