Corpi, radici, algoritmi: l’Italia in cortometraggio si interroga sul controllo, l’identità e la tradizione

Uno sguardo su alcuni corti particolarmente interessanti dello ShorTS International FF, tra AI e surrealismo quotidiano


C’è chi filma il trauma con lo sguardo affilato della consapevolezza, chi reinterpreta la tradizione popolare con rispetto e ironia, chi scrive con l’algoritmo e chi si affida al surreale quotidiano. L’Italia del cortometraggio, nella selezione Italia in Shorts 2025 dello ShorTS International FF parla con molte voci — e lo fa con coraggio.

Con Misure, Marta Capossela entra con lucidità e dolore nei meccanismi sottili dell’abuso. In un appartamento piccolo, claustrofobico, un uomo controlla il corpo della sua compagna: la misura, la pesa, ne annota ogni variazione. È un’ossessione che maschera il desiderio di dominio, una violenza che persiste anche dopo la ribellione. Il corto – primo di una trilogia sul corpo femminile – è girato con rigore, ma la freddezza formale è solo apparente: ogni scena pulsa di tensione emotiva, ogni silenzio è un urlo trattenuto. Non si esce indenni da questa visione, ed è giusto così.

A raccontare invece la memoria come terreno di gioco creativo ci pensa Nicola Eddy con How to Write – an AI Guide in Four Steps. Un tutorial vintage narrato da un’intelligenza artificiale istruisce gli umani su come riciclare la narrativa del passato. È ironico, ma anche inquietante: la voce metallica che ci guida nel processo creativo ci ricorda quanto oggi la scrittura sia contaminata da modelli, citazioni, algoritmi. Creare è davvero inventare, o solo riassemblare? Eddy ci invita a riflettere sul confine sempre più sfocato tra originalità e simulazione. Un’opera sperimentale, acuta, che con pochi elementi apre interrogativi cruciali.

Altro registro, altra energia per Dietro la rezza di Arianna Cavallo. Qui siamo in Puglia, ma la regista — bergamasca di nascita, pugliese di sangue — intreccia con grazia biografismo e simbolo. Il film racconta tre fasi della vita di una donna e il suo legame con un oggetto tipico della tradizione: la rezza, quella rete che si appende alle finestre per schermarsi dal sole e dagli sguardi. Diventa metafora dell’identità, del filtro con cui osserviamo (e veniamo osservati), e anche del confine tra interno e mondo esterno. Cavallo gioca con il folklore, ma lo fa senza nostalgia: con misura, rispetto e un tocco poetico.

A proposito di misure, C’è da comprare il latte di Pierfrancesco Bigazzi è un piccolo viaggio nell’assurdo quotidiano, un corto che comincia con un gesto banale — andare a comprare il latte, ed è subito Gianni Morandi — e finisce in una spirale surreale dove il confine tra reale e mentale si assottiglia. Bigazzi, regista e attore, porta avanti la sua ricerca su identità e spaesamento con un linguaggio che mescola ironia, disagio e poesia urbana. Il suo protagonista vaga tra scenari familiari e allucinati, con un senso crescente di disconnessione. È una satira esistenziale sull’Italia del presente, dove anche il compito più semplice può trasformarsi in enigma.

Quattro corti, quattro regist(r)i, quattro sguardi molto diversi che però convergono su una stessa urgenza: quella di decodificare chi siamo oggi, in un’epoca dove la tradizione si mescola alla tecnologia, l’intimo diventa politico e il corpo – soprattutto quello femminile – torna a essere il primo campo di battaglia.

L’Italia in cortometraggio si mostra qui in tutta la sua complessità: ironica, colta, ruvida, sperimentale. Con un occhio al passato e uno proiettato verso un futuro che, come spesso accade, si capisce meglio quando lo si guarda attraverso l’obiettivo di una camera piccola, ma acuta.

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02 Luglio 2025

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