Cinema e lavoro: i film ideali da vedere il Primo Maggio

Non solo "concertone" a Piazza San Giovanni. Il significato della celebrazione va oltre la festa e anche il cinema si accorge di quanto il tema del lavoro sia attuale


In Italia il Primo Maggio è vissuto soprattutto come una festa popolare. L’immaginario collettivo lo associa al concertone di Piazza San Giovanni, all’aria di primavera, ai cortei e ai comizi, ma anche a quel giorno libero in cui si celebra, spesso senza troppe parole, la fatica quotidiana di milioni di lavoratori.

Eppure questa data non è nata per essere festosa: la sua origine è segnata dal sangue e dalla protesta. Il 1° maggio 1886, a Chicago, migliaia di operai scesero in piazza per reclamare la giornata lavorativa di otto ore. Gli scioperi culminarono nella strage di Haymarket, dove la polizia sparò sui manifestanti. Tre anni dopo, a Parigi, la Seconda Internazionale stabilì che quella data sarebbe diventata simbolo di lotta e memoria operaia.

Se oggi il Primo Maggio è soprattutto musica e socialità, il cinema continua a restituirci con forza le tensioni e le contraddizioni del mondo del lavoro. Un mezzo che sa farsi riflessione politica, documento umano, narrazione epica e intima allo stesso tempo. Immaginare una maratona cinematografica dedicata a questa ricorrenza significa attraversare più di un secolo di storie, linguaggi e ideologie, ma anche scoprire quanto il tema sia ancora urgente.

Proponiamo, senza pretese di completezza, un’ideale “maratona” sui film a tema lavoro, che accompagni questo giorno di rimembranza.

Impossibile non partire da La classe operaia va in paradiso, film cardine del cinema politico italiano, diretto da Elio Petri e interpretato da un intenso Gian Maria Volonté. È il ritratto feroce di un operaio alienato, schiacciato dalla catena di montaggio e poi sedotto dall’illusione di una coscienza di classe. Ma già negli anni Sessanta Mario Monicelli, con I compagni, aveva tracciato un solco profondo: un film che unisce dramma e ironia per raccontare la nascita dei primi scioperi organizzati nella Torino di fine Ottocento, con Marcello Mastroianni nei panni di un professore socialista.

Il capolavoro di Bernardo Bertolucci, Novecento, va oltre: è un affresco storico che abbraccia l’intero diciottesimo secolo italiano, seguendo la parabola parallela di due uomini – uno contadino, l’altro proprietario terriero – e mettendo in scena, tra le altre, celebrazioni del Primo Maggio che sono veri e propri riti collettivi. Il lavoro agricolo, la lotta di classe e l’avvento del fascismo diventano materia viva, poetica e politica insieme.

Fuori dai confini italiani, è impossibile ignorare la potenza narrativa di Bread and Roses di Ken Loach, ispirato a una vertenza reale delle lavoratrici delle pulizie a Los Angeles. La voce del regista britannico, da sempre attento al mondo degli esclusi, risuona anche in Sorry We Missed You, racconto devastante su una famiglia messa in ginocchio dal lavoro “autonomo” nel settore delle consegne: una denuncia spietata del capitalismo delle piattaforme. Il belga Due giorni, una notte, dei fratelli Dardenne, è invece una parabola minima ma universale: una donna lotta per tenersi il posto, chiedendo ai colleghi di rinunciare al proprio bonus. Tutto si gioca sul filo della solidarietà e del bisogno, nel silenzio doloroso della precarietà.

In C’era una volta in America (1984) di Sergio Leone, la questione sindacale è presente, anche se non al centro della narrazione. Il film, epico e malinconico racconto sull’amicizia, il crimine e il tempo che passa, attraversa decenni della storia americana e tocca anche il ruolo dei sindacati — soprattutto nella seconda parte, ambientata negli anni ’30 e ’60.

Un personaggio chiave in questo senso è Jimmy Conway O’Donnell (interpretato da Treat Williams), politico ambiguo e rampante che sfrutta la sua vicinanza con i sindacati per accrescere potere e influenza. La sua figura riflette in parte la realtà storica degli USA, in cui la criminalità organizzata e i sindacati (soprattutto in certi contesti urbani e industriali) avevano legami oscuri, fatti di favori, tangenti, e controllo del lavoro.

Il cinema francese offre Germinal, tratto da Zola, potente evocazione delle miniere dell’Ottocento, dove l’oppressione si fa materiale, greve come il carbone. E poi ci sono gli sguardi più leggeri, ma non meno acuti: Tutta la vita davanti di Paolo Virzì racconta l’odissea precaria di una laureata finita in un call center, mentre Il posto di Ermanno Olmi – opera sobria, profonda, delicata – osserva con occhio poetico l’ingresso di un ragazzo nel grigiore del lavoro impiegatizio.

Un piccolo gioiello dimenticato è Apnea di Roberto Dordit (2005), con Claudio Santamaria, che attraverso la chiave del thriller e del noir tratta il serio tema delle morti bianche sul posto di lavoro.

Quello che emerge è un paesaggio complesso e stratificato. Il lavoro non è solo mestiere, è identità, destino, a volte condanna. Ma è anche occasione di riscatto, di conflitto, di crescita collettiva. Il Primo Maggio, allora, può essere anche questo: un giorno in cui fermarsi e guardare, con occhi diversi, le storie che il cinema ha saputo restituirci. Perché dietro ogni film c’è sempre una domanda: che ne è oggi della dignità del lavoro? La risposta, forse, non è solo nei comizi o nei palchi. È anche nelle immagini.

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30 Aprile 2025

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