RICCIONE – Le Giornate Professionali di Cinema di Riccione, edizione numero 14 di Ciné, debuttano con un appuntamento ormai classico per l’evento estivo dell’industria cinematografica italiana: il convegno a cura di “Box Office” – realizzato in collaborazione con Anica e Anec -, quest’anno dedicato al tema Produzione italiana e nuovi linguaggi narrativi.
Paolo Sinopoli (responsabile di “Box Office”), padrone di casa dell’appuntamento, introduce l’incontro affidando subito la parola alla collega Valentina Torlaschi che apre il discorso presentando qualche dato su come siano andati i film italiani negli ultimi mesi:
Nel secondo grafico viene evidenziata la quota italiana di mercato al 43%, dove il nostro Paese – nei primi tre mesi dell’anno – ha chiuso in positivo; poi, da aprile lo scenario cambia e tornano i grandi blockbuster USA, con quota italiana più consona, al 26%:
Ancora, ecco qui qualche spunto sui film italiani usciti in sala nel periodo 2017-2025: è chiaro sia aumentato il numero dei film distribuiti ma ad aumentare sono stati i doc e le uscite minori, quelle che nel fine settimana escono in meno di 50 cinema:
“La produzione italiana è vivace e solida“, commenta Sinopoli introducendo il parterre trasversale e sfaccettato, così da colorare il dibattito di sfumature che non appiattiscono il discorso.
Per Isabel Aguilar (sceneggiatrice, tra cui di Follemente): “Una cosa importante per chi scrive, e che si sfoca in certe altre fasi, è aver consapevolezza che il grande pubblico non sia un grande blob indistinto, ma sia composto da più nicchie: ciascuno di noi è fatto di strati. Io, quando scrivo – ed è una cosa che dovrebbero provare a fare tutti – cerco uno spettatore ideale: chi è il core target? Non c’è un trucchetto per acchiapparlo ma bisogna pensare come fosse un atto d’amore verso il te stesso a cui vorresti portare l’opera. Io guardo Shrek e Antonioni, perché ho più pubblici dentro di me. Secondo me, non viene capito che lo spettatore ideale non è il grande pubblico ma chi ha interesse per un certo tipo di contenuto; Disney, Pixar, Dreamworks la fanno più di chiunque altro, prendendosi una gran cura non solo dei bambini ma anche delle nicchie, appunto. Non è semplice ma se uno tiene ferma la barra del processo produttivo dall’inizio alla fine qualcosa di buono viene fuori”.
L’AD di Rai Cinema, Paolo Del Brocco, esordisce il suo intervento con una certezza: “Non esiste la ricetta perfetta per fare un film di successo! La difficoltà del salto comporta più elementi: non si può fare solo in modo furbo, poi bisogna capire cosa significhi ‘fare sistema’, come lavorare sulle window di protezione o sugli schermi di prossimità. Poi c’è il tema ‘prodotto’, e la somma di nicchie detta da Aguilar è molto interessante: noi abbiamo cercato di mettere insieme autorialità e popolarità, con la commistione di generi; dobbiamo cercare sempre di più questa direzione. Autore si diventa, si fa palestra per storie ‘larghe’, che significa anche – in lunga coda – la visione da parte di un pubblico più ampio. Il legare profondità emotiva e impatto narrativo è la formula, che crea il passaparola, sempre la più efficace forma di marketing”.
Sul tema specifico del convegno, Annamaria Morelli (Ceo di The Apartment), spiega che la sua azienda ha “un focus sui grandi autori, cosa sempre molto interessante per non produrre film standardizzati, perché l’autore non si ripete. Una nostra scelta – e della galassia Fremantle – è la voglia di giocare col pubblico senza standardizzare. Dal mio punto di vista, quando il grande autore è anche produttore, può essere un’opportunità, perché coinvolge il talento sin dalle prime fasi. Poi concordo sulla filosofia del pubblico plurale. Infine, noi crediamo e lavoriamo anche con giovani autori perché portatori di visioni inedite, e comunque non esiste un’industria seria senza ricerca, così anche quella del cinema”.
Giampaolo Letta (vicepresidente e AD di Medusa Film) si concentra dapprima sul discorso dell’innovare il linguaggio della commedia, una ricetta che ovviamente ammette di non sapere “ma conosco il lavoro quotidiano, lo sforzo costante per cercare di intercettare la stratificazione dei pubblici, è la sfida su ogni progetto. La sfida vera è unire le varie nicchie, storie che abbiano la capacità di essere trasversali. La commedia in generale, rispetto a 5/6 anni fa, soffre di più, a parte alcuni picchi: è un po’ sparita la commedia media (a budget medio), su cui c’era più curiosità del pubblico rispetto a ora; è più difficile trovare storie che intercettino il pubblico e lo facciano uscire di casa, poiché c’è una grande offerta di piattaforme e tv. Una responsabilità di chi finanzia i progetti è individuare quelli giusti, perché la distribuzione in sala ha grande incertezza. Da parte nostra, insieme ai produttori, servono responsabilità e coraggio, che significa anche di dire ‘no’ e a volte cambiare strada: qui, il fattore del tempo è fondamentale, diamoci più tempo e abbiamo coraggio di scartare, senza la fretta di produrre ‘entro la fine dell’anno'”.
Per Marta Donzelli (produttrice di Vivo Film) “si rischia e si sbaglia. Nel grande dibattito sul cinema è importante ricordare di investire sui giovani, sulla ricerca, sulla novità dei linguaggi, questo serve per un’industria che vuole andare avanti… Inoltre, sulle opere prime/seconde credo sia importante garantire un certo grado di libertà: anche questi film, piccoli magari, vanno inseriti in un meccanismo industriale, ma il pubblico va trovato e incontrato. Non sempre è colpa dei film se non trovano un pubblico e su questo bisognerebbe interrogarsi”. Donzelli ricorda qualche nome che Vivo Film ha fatto esordire, come Laura Bispuri e Maura Delpero: “la sfida è garantire agli autori di fare il film successivo e poi quello dopo ancora, per cui è anche fondamentale il dialogo con i partner industriali. Il cinema deve allenare lo sguardo, che è una funzione civile, e come ogni allenamento può essere a volte faticoso ma questo non significa non valga la pena”.
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