CANNES – Dopo due Palme d’oro (con Rosetta e L’enfant) e vari altri premi assortiti, l’ultimo per la sceneggiatura del Matrimonio di Lorna nel 2008, i fratelli Dardenne possono prendersela comoda. “Ci impensierisce quasi più l’uscita in sala della presenza al festival in concorso. Anche se non mancano mai tensione ed eccitazione per scoprire come la stampa e il pubblico accoglieranno la pellicola”, dicono Jean-Pierre e Luc.
Per ora Le gamin au vélo ha suscitato reazioni di grande amore (qualcuno l’ha paragonato ai 400 colpi di Truffaut). Ma c’è anche chi pensa che i Fratelli – come tutti li chiamano – facciano sempre lo stesso film. “Però non è vero”, dicono loro. “Questo è il nostro primo film con un’attrice famosa, Cécile de France. Il primo con un finale positivo. Il primo girato in estate, con il sole. Il primo in cui compare un brano musicale, il Concerto nr 5 di Beethoven. E’ stata decisamente una sfida. La prossima potrebbe essere quella di lavorare con un attore italiano, chissà, magari Riccardo Scamarcio“. Chiaramente è uno scherzo, ma il loro amore per il cinema italiano è grande: “L’Italia, per noi, è la patria del cinema. Da Rossellini a Moretti. Tra i film che ci hanno influenzato Le notti di Cabiria di Fellini e Accattone di Pasolini, geniale”.
Comunque Il ragazzo con la bicicletta, coprodotto da Lucky Red che lo porterà in sala il 20 maggio, affronta ancora una volta il tema classico dei Dardenne, quello del rapporto mancato tra un giovane essere umano e la sua famiglia d’origine. Cyril ha 12 anni e vive in casa famiglia dopo che il giovane padre l’ha abbandonato con la promessa vaga di riprenderselo. Cova un rabbia tremenda in corpo, che sfoga in lunghe corse in bicicletta, ma non si arrende. E’ convinto che lo ritroverà, è convinto che suo padre pensi a lui. Finché un giorno, nelle sue fughe frenetiche, incontra Samantha, una giovane parrucchiera. Le chiede se può andare a stare da lei e lei, in un attimo, lo “adotta”. Senza neppure chiedersi perché. Poi lo segue in un percorso accidentato, e anche violento, che lo porterà a rinunciare all’illusione di un rapporto dettato solo dalla biologia per scegliere l’amore che gli viene offerto così, senza condizioni.
“Cécile – spiega Luc, il più giovane dei due, classe 1954 – è una presenza luminosa, rende il senso di un personaggio che incontra questo ragazzo nella sala d’attesa di un medico e lo accarezza senza bisogno di risalire ai motivi di questo gesto”. Certo, perché il film, per molti versi, è una favola. Dice Jean-Pierre: “È vero, è una favola dei nostri tempi. C’è il bosco che è il luogo della tentazione, c’è il ragazzo cattivo, Wes, che lo vuole portare su una brutta strada come Lucignolo con Pinocchio. Ci sono delle prove da superare e soprattutto c’è una grande illusione, quella che suo padre lo voglia ancora con sé. E poi c’è una fata, Samantha”. Racconta Luc che l’idea è nata durante un soggiorno in Giappone. “Dove ci hanno raccontato la storia di un figlio che per anni ha continuato ad aspettare il padre che l’aveva abbandonato in un orfanotrofio e che non è più tornato. A questo si è sovrapposta l’idea che questo ragazzo, che nella realtà era diventato un gangster, incontrasse una donna che potesse farlo uscire dalla violenza col suo amore. È una bella storia a lieto fine ma getta anche uno sguardo critico sulla società e sul tipo di adulti che siamo, schiavi della riuscita, della celebrità e della ricchezza e incapaci di posare il nostro sguardo sull’altro, pronti a sacrificare i bambini perché i bambini ci fanno paura, perché rappresentano quello che verrà dopo di noi”.
Molti degli attori feticcio dei Dardenne, da Jérémie Renier a Fabrizio Rongione e Olivier Gourmet, tornano anche stavolta. Mentre è insolita la presenza di un’attrice famosa come Cécile, appena vista in Hereafter. Per lei è stato un desiderio che si esaudiva. “Avevo detto: un giorno tornerò a Cannes con i fratelli Dardenne, ma mi sembrava un sogno inaccessibile e invece si è realizzato. Con loro due e con Clint Eastwood ho incontrato dei veri artisti, registi con un punto di vista e uno stile”. Registi per certi versi all’opposto a quanto ci dice la bionda interprete. “In comune hanno ben poco. Clint è uno che non prova mai e fa un solo ciak perché vuole catturare l’immediatezza, il momento perfetto, ed è lì che viene canalizzata tutta l’energia. Mentre con i Fratelli è come fare teatro, c’è una ricerca continua, moltissime prove, dove si approfondiscono le cose da dire, ma anche il rapporto con l’ambiente o i vestiti che si indossano, con i gesti”. Un grande lavoro che ha coinvolto soprattutto Thomas Doret, il piccolo Cyril. “La sua – prosegue Cécile – è la forza della pagina bianca dove si possono scrivere molte cose, mentre io mi sono dovuta sbarazzare delle sovrastrutture e anche del mio accento francese, acquistato in tanti anni vissuti a Parigi, per ritrovare le mie origini di belga nata a Namur. In questo ci siamo capiti subito, istintivamente, forse perché veniamo tutti dal Belgio. A me piace lavorare col cuore, senza pormi troppe domande”.
D’istinto è arrivata anche la scelta di Thomas. Racconta Jean-Pierre: “E’ stato il quinto ragazzo a cui abbiamo fatto il provino. Doveva fare la telefonata in cui Cyril cerca suo padre, ma non ottiene risposta. E subito è stato chiaro che aveva la concentrazione e la forza di far esistere qualcuno che non c’è”. Infine un domanda frivola. Avete mai pensato di cambiare festival, magari di andare a caccia del Leone a Venezia? “No, siamo troppo legati a Cannes, che fa parte della nostra storia. Però il leone ci piace”.
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