BELLARIA – Torinese classe 1997, Carlotta Gamba è uno dei nomi più interessanti del cinema italiano. Dopo l’esordio nel 2021 con America Latina dei fratelli D’Innocenzo, nell’ultimo anno ha spaziato tra film e serie lasciando il segno: da Gloria! di Margherita Vicario, presentato alla Berlinale 2024, a Vermiglio di Maura Delpero, Leone d’Argento alla Mostra di Venezia e candidato italiano agli Oscar 2025, oltre che protagonista indiscusso dell’ultima edizione dei Premi David di Donatello. A questi si aggiunge la serie Dostoevskij, sempre diretta dai D’Innocenzo, con cui è nato un vero e proprio sodalizio. Nel 2025 ha ricevuto il David Rivelazioni Italiane – Italian Rising Stars, riconoscimento dedicato ai giovani talenti del nostro cinema. La incontriamo al Bellaria Film Festival, dove accompagna L’albero di Sara Petraglia, di cui è protagonista, e ritira il premio Casa Rossa alla miglior attrice. Tra i prossimi progetti, anche la serie tv di Marco Bellocchio su Enzo Tortora.
Partiamo dai David. Come hai vissuto la serata, eri agitata?
Ero tranquilla. Il David Rivelazione me lo avevano già assegnato, quindi non potevano togliermelo! [ride] Ero lì soprattutto per fare il tifo per le mie amiche, le registe, i collaboratori con cui ho lavorato. È stata una serata emozionante, vedere Vermiglio e Gloria! vincere tanti premi, e Tecla Insolia prendere il suo. Mi sono sentita come se avessi vinto anche io, pur non c’entrando niente. È stato bello. Non è una vera competizione, è più un sostegno reciproco. Ero davvero felice per i successi degli altri.
Sul red carpet, Tecla Insolia ha parlato di una piccola rivoluzione in atto nel cinema italiano, qualcosa che sta avvenendo anche grazie al ricambio generazionale degli interpreti. Condividi questa sensazione? Stanno emergendo nuovi volti?
Sì, assolutamente. Vedo intorno a me tantissimi attori giovani e bravissimi, c’è un moto, una forza che sale. Sono contenta di far parte di questa generazione. È stato bello condividere il David Rivelazione con altri cinque ragazzi: ci siamo divertiti, abbiamo riso tanto, è stato come guadagnare nuovi amici. Questo senso di gruppo è speciale.
C’è qualcosa che secondo te caratterizza questa nuova generazione di interpreti?
Una grande sensibilità. Il farsi trascinare dalle emozioni. Lo sento, lo vedo anche negli altri. La recitazione non è più solo tecnica, è qualcosa che vogliamo sentire. Vogliamo emozionarci, e poi emozionare gli altri. Anche il senso di gruppo, ci sosteniamo molto.
Proviamo a unire due cose: da un lato uno dei film che racconti essere stato fondamentale per la tua crescita, La guerra dei mondi di Spielberg, e dall’altro il tuo primo sogno, il teatro. Sul set ti senti un po’ “aliena” o stai imparando a popolare questo nuovo pianeta?
No, ormai aliena no. Anzi, forse ora lo sono più a teatro. Ho studiato teatro, sognavo di farlo, e spero di tornarci. Il cinema, invece, è stata una scoperta. Non sapevo nulla quando ho iniziato. L’ho imparato facendolo. Ora non mi sento aliena sul set, anche se c’è sempre quella sindrome dell’impostore. Mi sento più aliena nella vita quotidiana, a volte.
Vorresti tornare al teatro?
Ora sono molto impegnata con il cinema, quindi non ho il tempo che vorrei per il teatro. Ma resta un sogno. Penso spesso a quanto sarebbe bello recitare al Teatro Argentina a Roma. Quando ci sono andata anni fa per vedere uno spettacolo ho pensato: “Questo posto è meraviglioso, voglio recitare qui”. È un desiderio che tengo vivo.
Il trasferimento a Roma è stato un momento chiave per la tua carriera. Una scelta dirompente. Si costruisce in questo modo una carriera nell’arte, con scelte forti?
Assolutamente. Quando sono venuta a Roma, all’inizio non sono stata presa all’Accademia Silvio D’Amico. Potevo tornare a casa, a Torino, ma ho deciso di restare. Sono testarda, una vera Ariete! È stato un anno duro: su ho lasciato la mia famiglia, il mio ex compagno, tutto. Ero sola, e ci ho messo tanto a creare legami. Ma i miei genitori mi hanno supportata tantissimo. Mia mamma mi dice sempre: “Ti sei messa in testa una cosa e non hai mollato”. Mi piace sudarmele, le cose, conquistarle.
Nell’ultimo anno hai lavorato con tanti autori diversi. Ti fermi mai a realizzare quello che stai costruendo o bisogna sempre restare concentrati e guardare solo avanti?
Il primo pensiero è sempre l’orgoglio di far parte di progetti grandi come Gloria o Vermiglio, ma la cosa più grande per me è poter lavorare, fare questo mestiere. Dopo ogni film, però, c’è sempre una vocina che dice: “E se finisce tutto qui? E mo’ che succede?”.
Allora, “E mo’ che succede?”
Non posso rivelare troppo! Però ho girato la serie di Marco Bellocchio su Enzo Tortora. È stato incredibile, sono entrata ancora una volta in un mondo nuovo. Quando incontro nuovi autori scopro ogni volta qualcosa che mi stupisce, come fosse sempre il primo giorno.
Torniamo allora al tuo “primo giorno”, il set di America Latina dei fratelli D’Innocenzo. Eri spaventata? Ricordi qualcosa che ti è stato detto per affrontare questo primo passo?
Ero terrorizzata! Era il mio primo set, una macchina enorme, e c’era Elio Germano, il mio attore preferito. Sentivo la portata del progetto. Ma Damiano e Fabio D’Innocenzo, così come Elio, sono stati bravissimi ad accompagnarmi, a comprendere la mia vulnerabilità e la mia sensibilità. Damiano mi disse: “Questa è una barchetta. Quando ti stanchi di remare, tranquilla, remiamo noi per te”. Hanno un grande amore per gli attori, e con loro è nato un dialogo facile, una sensibilità comune.
Cerchi qualcosa di te nelle sceneggiature e nei personaggi, o sono le storie che ti trovano, magari tirando fuori qualcosa che non pensavi ti appartenesse?
Dipende. Con Dostoevskij, per esempio, non pensavo di essere simile al personaggio di Ambra, ma la scrittura aveva una sensibilità che capivo. Lei mi ha trovata, mi ha fatto scoprire cose di me che non conoscevo, anche brutte o cattive. È stato spaventoso ma bellissimo. Altri personaggi, come in Gloria, li sento subito. I personaggi restano come una seconda pelle, soprattutto Ambra, il personaggio che interpreto in Dostoevskij: per un attimo ho perso Carlotta, ero solo lei.
Hai una lista di registi o attori con cui vorresti lavorare?
Tantissimi! In Italia, Alba Rohrwacher, Luca Marinelli, Alessandro Borghi, Linda Caridi, Valentina Bellè e molti altri. All’estero, mi piacerebbe lavorare con Justin Kurzel o Brady Corbet. Io ci sono, chi vuole, mi chiami! Sarebbe un grande sogno viaggiare e scoprire il cinema fuori dall’Italia.
Si parla tanto dei giovani nel cinema italiano, spesso anche con una certa retorica. C’è una domanda che non si fa mai ai giovani attori italiani e che invece secondo te si dovrebbe fare?
A volte non è la domanda, ma l’atteggiamento: ti trattano solo come “la giovane”, come se ti rappresentasse solo il fatto di essere più piccola. Mi piace andare oltre a questo aspetto, condividere un momento, ascoltarsi e capire insieme qualcosa di nuovo.
La sensibilità di cui mi parlavi
Esatto, per me è fondamentale.
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