CANNES – Si alzano i riflettori sulla Croisette per l’edizione 2025 del Festival di Cannes, ma chi sperava in look provocatori e polemiche sartoriali resterà deluso. L’organizzazione del festival ha infatti deciso di fare chiarezza, aggiornando ufficialmente il proprio statuto per regolamentare in modo esplicito ciò che — a quanto pare — era già applicato informalmente: niente nudità e stop agli abiti esageratamente voluminosi.
Il nuovo regolamento vieta la nudità non solo sul red carpet, ma anche in tutte le aree del festival, invocando motivi di decenza. Dimenticate dunque trasparenze audaci e mise “vedo tutto”, come quelle che hanno reso celebri (e discussi) look di Bella Hadid, Kendall Jenner e altri habitué del tappeto rosso. Il messaggio è chiaro: chi vuole stupire mostrando troppo dovrà farlo altrove. Si cambia registro.
Anche gli abiti troppo ingombranti finiscono nel mirino. Il festival non tollererà più outfit con strascichi chilometrici o silhouette così ampie da sembrare parte di una parata più che di un evento cinematografico. La motivazione? Ostacolano il passaggio degli ospiti e rendono complicata la disposizione in sala. Il personale non ha più intenzione di rincorrere tulle e metri di tessuto come fossero scenografie mobili.
Un portavoce ha confermato a ‘The Hollywood Reporter’ che queste linee guida esistevano già, ma è stato necessario formalizzarle.
Un’iniziativa che, unita al divieto di selfie di qualche anno fa, rende il festival sicuramente più sobrio ed elegante, ma anche molto meno vivace.
Comunque, come da tradizione, la giuria oggi riceve la stampa.
Presidentessa è Juliette Binoche. Ed è anche la star principale, insieme ad Halle Berry. C’è anche la nostra Alba Rohrwacher, che però resta silente, a parte i saluti di apertura, in cui esprime la gioia e la responsabilità di far parte di una giuria così importante e piena di talenti.
Gli altri membri sono Payal Kapadia, Leïla Slimani, Dieudo Hamadi, Hong Sang-soo, Carlos Reygadas e Jeremy Strong.
Tra i temi principali: la politica, Gaza, Trump e la brusca interruzione di carriera di Gérard Depardieu, condannato per aggressione sessuale. Inevitabile, dato che i due hanno lavorato insieme. Quello che accade oggi, questa desacralizzazione, è il risultato del movimento ‘MeeToo’?
“Certamente lo è – dice la presidentessa – la condanna di oggi a Depardieu è il frutto di quello che è stato fatto negli ultimi anni anche qui al Festival di Cannes. E questo con la presenza di registe donne, con donne e in particolare in giuria. Da diversi anni Cannes ha fatto molto e il fatto che siamo qui oggi dipende anche da questo, grazie a un festival sempre in sintonia con quello che accade oggi. La nostra ondata rivoluzionaria ci ha messo un po’ di tempo ad arrivare, ma alla fine è arrivata. Qualcuno diventa ‘sacro’ quando ha la possibilità di creare, di recitare. E’ il segno di come il potere sia qualcosa di molto labile. Non mi piace il termine ‘mostro sacro’. Non è un mostro, è un uomo, che deve essere giudicato da un tribunale. Forse il potere dovrebbe stare da qualche altra parte”.
Quanto al ruolo istituzionale: “scoprirò cosa accade mentre lavoriamo. Tra noi ci sarà modo di parlare e confrontarci. Questo sarà l’elemento speciale. Quando ci siamo incontrati ieri abbiamo subito sentito amore e voglia di stare insieme per questo viaggio, non facile, perché so che ci saranno tantissimi grandi film, ma saremo disponibili ad ascoltarci e a mettere su il miglior palmarès possibile. Non possiamo sapere cosa ci colpirà o no di un film, meglio non fare pronostici. Siamo tutti insieme e questa connessione renderà il risultato speciale”.
Ad Halle Berry viene chiesto se avesse preparazione per giudicare film, e quali siano le sue aspettative. Risponde l’attrice: “semplicemente di godermi l’esperienza con queste persone meravigliose. Mi aspetto di vedere bei film e non penso ci sia una preparazione adeguata. Tutti abbiamo una prospettiva unica quando guardiamo un film e nessuno ha la verità in mano. Siamo tutti differenti, nel nostro giudizio conta tutto. Il nostro background culturale, la famiglia, l’età. il sesso. Sarà bello vedere i nostri punti di contatto, ma anche ciò che ci separa. Anche quello è bello. E’ la mia seconda a Cannes, ma stavolta è speciale. Sono entusiasta”.
Su Trump e i dazi, e su come il suo mandato possa interferire sull’arte, risponde Binoche: “Non sono sicura di essere la persona giusta per parlarne, ci vorrebbe un’analisi accurata. Abbiamo capito che Trump cerca di proteggere il suo paese, ma noi abbiamo una comunità cinematografica molto forte in Europa. In effetti, non saprei cosa dire”.
Jeremy Strong si prende la responsabilità della risposta “politica”: “In un momento in cui la verità è in pericolo, il ruolo del cinema diventa cruciale. Perché può indicare verità individuali e collettive, sociali e artistiche”.
Reygadas risponde a una domanda su quello che lo interessa come artista: “Non posso dare una definizione spontanea. C’è un momento in cui nel nostro lavoro percepiamo la vita. Penso che non ci sia un livello nazionale del cinema, è una cosa che riguarda tutti gli esseri umani. Bisogna prenderci più rischi, pensare profondamente all’arte, più che al solo cinema. Dobbiamo capire da dove vengono le cose”.
Concorde Leïla Slimani: “Il cinema e l’arte devono parlare della vita e individuare le sue belle contraddizioni. Ci sono dei mosti nella vita, e oscurità, ma il nostro lavoro è difendere la bellezza e la voglia di vivere”.
Domanda per Berry su 007, dato che ha partecipato a La morte può attendere: “Non sono convinta che 007 debba essere una donna. Se ne era parlato nel 2019… ma sinceramente, non so proprio quale sia la cosa giusta da fare a riguardo. Forse c’è stato un tempo in cui sarebbe potuto succedere, e mi sarebbe piaciuto, ma penso che sia passato”.
Infine, a Binoche viene chiesto perché non ha voluto firmare la lettera aperta della comunità cinematografica per mettere fine al genocidio a Gaza.
“Lo capirete tra un po’ di tempo”, risponde.
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