Boom del cinema italiano, flessione di quello Usa


Terza edizione per il Rapporto sull’industria cinema realizzato dalla Fondazione Ente dello Spettacolo con Cinecittà Luce, presentato alla Luiss da Dario Edoardo Viganò e Luciano Sovena con il DG Cinema del MiBAC Nicola Borrelli, l’AD di Rai Cinema Paolo Del Brocco e il presidente di Anica Riccardo Tozzi. Platea affollata di produttori. Notizie ottime, come ha sottolineato in particolare Tozzi, con un cinema italiano che si attesta al secondo posto in Europa dopo la Francia e al settimo nel mondo (dopo India, Stati Uniti, Giappone, Cina, Corea del Sud e Francia). Tra le criticità, la necessità di conquistare nuovi spettatori soprattutto attraverso una presenza più capillare di sale sul territorio, con il rilancio delle sale di città e l’apertura di nuovi canali distributivi in internet attraverso la lotta alla pirateria. Dario Viganò giudica il 2010 “un anno determinante” con 141 film prodotti, uno dei traguardi più elevati degli ultimi 30 anni, dopo i 154 del 2008 e i 163 del 1980. “Di questi 141, ben 114 sono stati realizzati con capitali esclusivamente italiani, sempre più produttori italiani predispongono budget adeguati anche grazie al product placement (+20%) e al sistema delle agevolazioni fiscali. Dopo 4 anni vissuti pericolosamente dagli operatori, il Fus ha riacquistato stabilità”.

 

Altro fenomeno rilevante è la digitalizzazione delle sale: sono 577 i complessi tecnologicamente avanzati e 841 gli schermi digitali, mentre erano 428 nel 2009. Ma il trend deve continuare. Per Paolo Protti, presidente Agis, il ruolo della sala è fondamentale e dunque occorre “creare un sistema di incentivi certi, mettendo insieme esercizio e produzione”.

 

Aumentano gli investimenti privati con 276,9 milioni di euro nel 2010 (il 65,3% delle risorse totali) anche grazie al product placement (sfruttato dal 48% dei film italiani) e diminuiscono quelli statali (il Fus è sceso del 19,5% rispetto al 2009, mentre nel 2003 le risorse pubbliche erano il 35,7% del totale, oggi toccano appena l’11%). Ma avverte Nicola Borrelli: “Se la riduzione del Fus è un dato oggettivo, le agevolazioni fiscali mettono in campo risorse statali comparabili. I contributi diretti, nel 2009, sono diventati in parte crediti d’imposta. L’agevolazione fiscale è neutrale, automatica e non discrezionale, in questo modo oggi non abbiamo più le anomalie del passato. Comunque l’intervento dello Stato in Italia è sempre inferiore rispetto alla Francia (1 a 5), al Regno Unito, alla Germania (1 a 3) e siamo leggermente dietro anche rispetto alla piccola Austria”.

Insiste sull’importanza delle opere prime e seconde, e dunque dell’intervento pubblico, Luciano Sovena: “In questi mesi molte cose sono cambiate in meglio, siamo stati a Cannes per la prima volta insieme all’Anica, abbiamo siglato un accordo con Rai Cinema per distribuire le opere prime. Abbiamo la vocazione di scoprire talenti, come quello di Alice Rohrwacher. È cambiato anche il ministro e finalmente abbiamo avuto una presenza forte e costante al festival di Cannes. Insomma, quando c’è un interesse reale nei confronti del cinema, i problemi si risolvono”.

Riccardo Tozzi considera importante il Rapporto 2010: “È la prima volta che si fa un’analisi della struttura industriale del cinema”, commenta. La buona salute del settore si deve a dieci anni di lavoro di tutte le componenti, compresi il ministero, Cinecittà, Medusa e la Rai. “Oggi abbiamo una quota di mercato record per il cinema italiano, al 45%. I nuovi problemi sono quelli della crescita. Come ingrandire la torta? Il nostro primo obiettivo è l’esercizio: le 3.200 sale esistenti non coprono alcune parti del territorio nazionale, il 40% della popolazione non può andare al cinema perché non c’è un cinema in zona. Contemporaneamente chiudono le sale dei centri urbani”. Questi due fenomeni portano a una diminuzione del pubblico generale legata anche a una flessione del cinema americano. “Occorre – dice ancora Tozzi – una pianificazione a livello regionale per i multiplex, mentre il digitale consente di riattivare le sale dei piccoli centri o magari delle isole che potranno programmare cinema ma anche altri eventi. E’ un’operazione culturale importante”. Occorre anche far capire alla televisione “che il cinema sarà un sostegno forte per la stessa tv, in una fase di crisi della fiction e diminuzione dei livelli di occupazione”.

Per l’AD di Rai Cinema, Paolo Del Brocco, è grave che il 50% degli italiani non vadano al cinema neppure una volta l’anno. “Ma la televisione potrebbe ridare al cinema quello che si è presa negli anni ’90, educando i giovani a vedere film anche di qualità”. Nel carniere di Rai Cinema – che negli ultimi due anni ha finanziato a vario titolo 70 film di cui 35 opere prime e seconde con investimenti di 130 mln euro – ci saranno in un prossimo futuro anche piccoli film da 150mila euro realizzati da giovanissimi e distribuiti sulla rete.

 

I dati sono consultabili sul sito Cineconomy

 

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26 Maggio 2011

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