RICCIONE – “Oggi le serie danno la possibilità a un autore di avere più tempo per raccontare una storia. Se mi avessero chiesto di fare un film su Il conte di Montecristo avrei detto di no. Ma è anche vero che andare al cinema rimane una delle esperienze più belle della vita”. Bille August parla a CinecittàNews di com’è cambiato il linguaggio audiovisivo con l’avvento della serialità per un autore.
Abbiamo incontrato il regista danese, classe 1948, che ha diretto film come La casa degli spiriti e I miserabili e recentemente la serie tratta dal romanzo di Alexandre Dumas (andata in onda su Rai1), all’Italian Global Series Festival, dove ha ricoperto il ruolo di presidente di giuria della sezione Limited Series.
August, qual è stata la prima serie tv che l’ha davvero colpita nella sua vita?
La prima che ho visto in Danimarca è stata probabilmente Dallas. Era pessima, ma così popolare che non potevi non vederla. Quello credo sia stato il momento in cui ho pensato a riflettere sul potere delle serie tv. La migliore, la prima che mi ha davvero colpito, è stata, invece, Scene da un matrimonio di Ingmar Bergman. All’epoca la trovai fantastica.
Com’è cambiato il ruolo del regista con l’avvento delle serie? Un autore può avere il controllo su questo tipo di lavoro?
Tutto dipende da che tipo di regista sei, da quanto i produttori ti rispettano e dalla tua integrità. Per me è lo stesso, sia quando realizzo un lungometraggio, che una serie tv.
Le serie, dunque, possono offrire più opportunità a un autore di raccontare storie rispetto al cinema?
Il bello di una serie è che ti permette di dedicargli molto più tempo rispetto a un film. Se mi avessero offerto di realizzare Il Conte di Montecristo come lungometraggio di due ore, non avrei saputo come farlo, perché sarebbe stato un progetto troppo ambizioso, che avrebbe richiesto molto tempo. Ci sono volute otto ore per raccontarne la storia completa, per capire la psicologia del protagonista e degli altri personaggi. Ma naturalmente tutto dipende dalla storia che vuoi raccontare. Oggi le serie sono diventate davvero più popolari dei film.
Pensa che la serialità stia diventando una nuova forma di letteratura popolare?
Non credo che la vera letteratura scomparirà mai, perché la sua forza è quella di poter innescare una riflessione, un processo di pensiero, anche intellettuale. Quando leggi un libro, devi trasformare le parole in immagini, dargli un significato. Quando guardi una serie tv, invece, reagisci automaticamente.
Come vede il rapporto tra il cinema d’autore e lo streaming?
Dopo il Covid, è stato sempre più difficile realizzare film. Molti cinema stanno chiudendo in tutto il mondo ed è molto complicato anche trovare fondi, investire in un lungometraggio e poi trovare una distribuzione. Quindi è una realtà molto triste. Oggi i grandi servizi di streaming, come Netflix o Amazon, producono anche lungometraggi, il che è molto avvilente per i cinema,
Secondo lei la sala potrà mai morire?
Oggi il cinema sta perdendo le generazioni più giovani. I ragazzi purtroppo non stanno vivendo una delle esperienze più belle della loro vita. Andare al cinema ha fatto parte della mia giovinezza. Oggi molti usano i cellulari anche per guardare i film. Si sono abituati a guardare le pellicole sui piccoli schermi. Io non credo che il cinema morirà, ma penso che ci sia un problema da affrontare. Oggi i cinema stanno cercando di trasformare un film in un evento, in un’esperienza, di mostrare al pubblico che non si tratta solo di vedere un film, ma anche di trascorrere una bella serata. Andare al cinema resta qualcosa di unico.
Tra gli ospiti della serata finale anche Carlo Verdone, Barbara Ronchi, Cristina Comencini, Riccardo Scamarcio e Alice Filippi
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