Il ’68, l’erotismo, la libertà. Il Maggio con le sue utopie, gli slogan, e il vento folle dell’adolescenza. Il desiderio e la politica, l’amore per il cinema. Di questo parla The Dreamers, il nuovo film di Bernardo Bertolucci, girato a Parigi, finito da qualche settimana, e pronto per essere visto alla prossima Mostra del cinema di Venezia. Intanto però, a Fiesole, dove Bertolucci ha ricevuto il Premio ai maestri del cinema dall’amico Roberto Benigni, si sono visti, in anteprima assoluta, alcuni minuti di The Dreamers.
“Racconto l’utopia, racconto gli entusiasmi di quei mesi, di quell’età”, dice Bertolucci. “Non mi interessa la Storia con la maiuscola. O forse, la Storia è anche nelle storie individuali di tre ragazzi, che si trovano a vivere insieme, in quei giorni. Con tutto l’entusiasmo di quell’epoca, un entusiasmo che ora non vedo più. No, non è un’autobiografia: intanto perché io, nel ’68, non avevo 18 anni, ma 27. Poi perché l’ho vissuto nei racconti di Pierre Clémenti, un attore che ho amato moltissimo, e con il quale stavo girando, a Roma, Partner. Clémenti ogni fine settimana prendeva l’aereo per Parigi. E il lunedì, ci raccontava cose favolose dal mondo del Maggio. Ci raccontava gli slogan che leggeva. Me ne ricordo uno, meraviglioso: sous le pavé, la plage. Sotto il pavé, il lastricato di Parigi, la spiaggia. Mi sembrava quella la vera poesia di quegli anni”.
Ha usato quello slogan nel film?
Sì: era troppo bello per ignorarlo. L’ho collocato alla Sorbona, alla facoltà di medicina, dove era veramente, nella primavera del ‘68.
C’è un legame fra quegli anni e il movimento no global? I fatti di Genova e del G8, per esempio, hanno influenzato in qualche modo il suo film?
Il film – l’ho dentro da sempre – è una storia che mi coinvolge in modo intenso. Dunque non sono stato influenzato dal presente. Ma in un altro senso, sì: ad esempio, c’è una sequenza in cui mostro una carica della polizia. Mentre stavo montando quella sequenza, ho pensato ai fatti di Genova. E ho prolungato quella sequenza, l’ho resa feroce, intollerabile. Ecco come il presente si è insinuato in un film che avevo già dentro da anni.
Dopo un periodo internazionale era tornato in Italia, per film piccoli e intensi come “Io ballo da sola” e “L’assedio”. Ora è tornato alla Francia, il suo primo amore cinematografico…
Era un amore che doveva tutto alla Nouvelle Vague. La mia prima intervista, con i giornalisti di Roma, la feci nel 1960. Volevo farla in francese. Perché?, mi chiesero allibiti. Ma par ce que le français c’est la langue du cinéma!, risposi io, con entusiasmo un po’ fuori luogo. Mi ci sono voluti trent’anni, per ricucire il mio rapporto con la stampa”, dice, ridendo.
Il suo giudizio sull’Italia oggi?
Se parliamo di cinema, buono. Per anni ho avuto il sentimento di una lenta e inevitabile agonia del cinema italiano. da un paio d’anni mi sembra stia rinascendo: film come Respiro, L’imbalsamatore o Angela mi riconciliano con il cinema italiano.
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